Di Nicola Salvagnin
Perché gli analisti finanziari non si fidano molto dell’Italia e dei suoi conti pubblici? Perché non sono né chiari né veritieri. Il debito pubblico è sì astronomico (stiamo attorno ai 2.100 miliardi di euro), ma meno di quanto lo sia veramente. Non sono contabilizzati infatti i debiti in capo alle amministrazioni locali, agli enti pubblici territoriali. E non stiamo parlando di due arachidi.
Nei giorni scorsi è scoppiato il caso-Roma. Una città tecnicamente in fallimento dal 2008, quando il governo la salvò dal dissesto con un’operazione finanziaria spericolata. I 20 miliardi di euro di pregresso non pagato finivano in un conto speciale, che la città e lo Stato si impegnavano a saldare a forza di 500 milioni di euro l’anno. L’amministrazione capitolina innalzava le tasse locali al massimo possibile (i romani sono gli italiani che pagano le più alte imposte comunali), lo Stato ci metteva di suo in un capitolo speciale di spesa.
Il problema è che nessuno, nella capitale, ha poi affrontato la causa di tale dissesto: si spende strutturalmente più di quanto si ricava. Ha più dipendenti da pagare il Comune di Roma con le sue propaggini, che l’intero gruppo Fiat in Italia. E si è continuato ad assumere senza alcun criterio, vuoi nei trasporti, vuoi in società create ad hoc e partecipate dal Comune. Alleluia. E così, oltre ai debiti antichi, la capitale ne crea di nuovi e corposi ogni anno che passa, chiedendo allo Stato di metterci una colossale pezza. Il decreto salva-Roma ha avuto finora vita difficile anche perché si vuole cambiare l’andazzo: non si può pagare il conto a pie’ di lista ogni volta.
Ma se Roma piange, la Regione Sicilia certo non ride. Non riesce più a pagare gli stipendi alle decine di migliaia di dipendenti – figuriamoci fornitori e collaboratori – che ha; la voragine è immensa, tanto che viene accusata da organi dello Stato addirittura di truccare la propria contabilità per non far emergere in modo completo il disavanzo, cioè il disastro. Roba da Napoli, se non fosse che pure la città partenopea ha più debiti che abitanti, ed è continuamente immersa in un gioco delle tre carte per evitare che si blocchino gli autobus (manca il gasolio), non si paghino i dipendenti, non si saldino i fornitori…
Analoghi problemi – cioè di grande debito fuori controllo – hanno interessato altre città (Palermo, Catania, Torino, Milano), ma se poi mettiamo la testa dentro i bilanci di molte Regioni, e dentro i bilanci soprattutto della Sanità pubblica (gestita dalle Regioni) c’è da rabbrividire. Un esempio su tutti è la sanità laziale, oberata da un deficit stratosferico; un esempio su tutti è la sanità calabrese, che si cerca faticosamente di riportare ad una corretta valutazione di costi e ricavi, visto che alcune Asl facevano il bilancio con i tarocchi.
Ecco: debiti nazionali e debiti locali. Tanti buchi che gli ultimi governi hanno soprattutto cercato di tamponare in qualche modo. Ma il federalismo all’italiana ha portato a questo: mentre lo Stato si è messo in dieta ferrea (peraltro non riuscendo o volendo perdere nemmeno un chilo), in periferia si fa e si agisce come nulla fosse, come se alla fine a pagare fosse sempre Pantalone. Ma il Carnevale è finito, lo si capisca o no.

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