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L’abbraccio tra Papa Francesco e il Papa emerito Benedetto XVI

Papa Francesco e Papa Benedetto XVIDi Cristiana Dobner

Il saluto e l’abbraccio a Benedetto XVI, presente nella sua veste bianca, è un segno di quanto Papa Francesco vuole insegnare a tutto il popolo di Dio e che nella sua allocuzione ha espresso chiaramente: una rivoluzione, un capovolgimento che può costare il sangue proprio, non quello altrui.
Concistoro: il primo di Papa Francesco alle prese con esigenze primarie e ineludibili, con il volto del Collegio cardinalizio davvero cattolico, cioè universale, perché conta fra i suoi membri persone di nazionalità diversa.
Francesco, con poche e misurate parole, abbatte l’ottica comune che vede nella porpora cardinalizia il segno di una carriera e di un arrampicamento ecclesiale. Se la nomina viene letta e interpretata come una corsa alla porpora, i nostri guai sono già evidenti e denunciati.
L’antidoto ci viene donato dalla parola evangelica: Gesù stava salendo a Gerusalemme e chiamati i suoi vicino, annuncia loro la Sua passione e morte.
I suoi, che in realtà siamo sempre anche noi, parlavano fra di loro e il succo del loro dire è proprio l’analogo palestinese della corsa alla porpora, l’arrampicamento sociale: sedere alla sua destra e alla sua sinistra. Non camminare.
Le parole di Francesco sembrano una marcatura a fuoco:
– “Gesù camminava davanti a loro e cammina davanti a noi”: non siamo soli, perché Egli sempre ci precede e ci apre la via. Non significa essere dei pecoroni che s’infilano l’uno dopo l’altro ma delle persone, consapevoli della gioia che scaturisce dalla loro chiamata, dalla fiducia e dalla gioia di essere discepoli. Camminare perché Gesù non si siede e si accomoda per insegnare ma continua a procedere;
– “La strada si impara facendo, camminando”: Gesù è Maestro non di una filosofia, di un pensiero umano, non di un’ideologia ma di una via, di una strada, da cui non è esclusa la scomodità, il rischio e il colore della porpora è proprio quello del sangue, della vita messa sempre a repentaglio. In altre parole: oggi Francesco ha donato la possibilità, non tanto remota in alcuni Paesi, di una crocifissione in cui il sangue venga sparso a salvezza di tutti;
– “L’azione di Gesù continua”: non si è fossilizzata, cristallizzata in quel momento, come un reperto archeologico, sublime ma inerte, ma è la sua persona che continuamente ci istruisce;
– “Non il trionfo ma la Croce”: con grande spavento dei nostri fratelli seguaci di Gesù e, mi auguro con grande spavento, nutrito di fiducia e di abbandono, dei nostri fratelli neo-cardinali;
– “Si sdegnarono”: sembra un dono di nozze offerto da chi, come Benedetto XVI e Francesco, già sono passati per la stessa strada. In quello sdegno c’è tutta la loro e nostra umanità che deve accettare la conversione, il capovolgimento e abbandonare gli schemi umani per assumere quelli evangelici. La mentalità del mondo comporta rivalità, invidie, passioni, la mentalità evangelica invece è salutare, purifica interiormente e il loro abbraccio lo ha testimoniato;
– “Insieme”: perché i cardinali si sono lasciati convocare, chiamare, e dal loro agire in sinergia, dal loro essere “un cuor solo e un’anima sola”, dalla collaborazione e dalla comunione con Gesù e fra tutti loro, la Chiesa potrà trarre beneficio. Solo così ogni cardinale avrà il coraggio di annunciare la Verità in occasioni opportune e inopportune. Detto senza mezzi termini: rischiando la pelle e versando il sangue;
– “La preghiera primo compito del Vescovo”: che spiana la strada alla santità, alla comunione con il Signore e muove alla compassione verso tutti coloro che si trovano nel dolore e nella sofferenza, verso tutti i cristiani che soffrono discriminazioni e persecuzioni per la loro fede;
– “Artigiani della pace”: nella mentalità nuova creata dal messaggio evangelico che rende forti nella fede e sa reagire al male con il bene. Realtà oggi quanto mai sovversiva che genera la pace con le opere, con i desideri.
Parole da cui sgorga nuova luce, nuovo impulso a procedere nelle sabbie mobili del nostro contesto quotidiano con la certezza di porre i piedi nelle orme del Signore Gesù e della tradizione che, di secolo in secolo, si tramanda in una catena, sempre più ricca di anelli e che non trova la sua forza nel metallo inossidabile ma nella mano del Padre che la regge.
Lo schizzo di una Chiesa nuova, gravida di “docibilitas”, capace cioè di quella docibilità che sa ascoltare lo Spirito e rischiare la propria vita nella rivoluzione cruenta, purpurea, ma propria.