262_paolovi1[1]In un articolo dell’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica” uscito sabato 15 febbraio, padre Diego Fares, uno dei teologi più stimati dall’attuale pontefice, ha illustrato la visione antropologica di Papa Francesco, che è in gran parte ispirata, secondo l’autore, all’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” scritta nel 1975 da Paolo VI (p. 351).Desideriamo riprendere questo testo, che per la sua profondità, è ancora estremamente attuale.

Scrive Paolo VI: “occorre evangelizzare – non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e le culture dell’uomo, nel senso ricco ed esteso che questi termini hanno nella Costituzione «Gaudium et Spes»”.

Secondo il Pontefice, è necessario che il messaggio del vangelo si incontri con la cultura e le culture dell’uomo moderno. Per cultura non si intende qui l’erudizione, il puro sapere, ma, secondo quanto affermato appunto dalla Gaudium et Spes al numero 53, “tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano”.

Se dunque la cultura è tutto ciò che ruota attorno all’uomo e alla sua vita, il vangelo non può non interagire con essa. Quando il Verbo si è fatto carne nella persona di Gesù di Nazaret, il divino ha assunto completamente la natura umana, ivi compreso l’aspetto culturale. Gesù infatti fu in tutto un uomo di cultura ebraica: parlava in aramaico, osservava le leggi del suo popolo, onorava le festività giudaiche, pregava nel Tempio di Gesusalemme, ecc.

È in questo contesto culturale che egli annunciò il messaggio di salvezza. Non vi è dubbio che il suo Vangelo, espresso nell’idioma ebraico, con categorie culturali tipiche del suo popolo, non solo avvicinò gli uomini a Dio, ma contribuì anche ad elevare la cultura del suo tempo. Infatti Gesù, come egli stesso afferma, non è venuto ad abolire, ma a portare compimento (cfr. Mt 5,17).

Guardiamo, ad esempio, al discorso della montagna. Gesù dice: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere, chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Inoltre io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt 5,21-22). Gesù inserisce il suo insegnamento nel quadro normativo legale e religioso del suo tempo: se la Legge vietava giustamente l’omicidio, egli rafforza questo comandamento dicendo che è ingiusto anche offendere il proprio fratello. Egli porta a perfezione un comando già buono. Per dirla con le parole di Paolo VI, Gesù interagisce con la cultura del suo tempo, “partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio”.

Allo stesso modo, oggi i cristiani sono chiamati a continuare l’opera che egli ha iniziato, giacché la Chiesa prolunga nel tempo il Mistero dell’Incarnazione. Quando i cristiani annunciano il Vangelo, devono necessariamente tenere conto del contesto culturale delle persone alle quali si rivolgono, avendone ben presenti i pregi e i difetti, per elevare i primi e correggere i secondi.

E qual è il contesto culturale dell’uomo di oggi? Sicuramente l’uomo moderno vive immerso nella tecnologia, ama il mondo di internet, desidera essere informato in continuazione grazie ai sempre più potenti mezzi di comunicazione, sente come tema centrale quello della libertà.

Sono tutti dati che i cristiani, nel proporre la nuova evangelizzazione, non possono ignorare. Tutti questi elementi della cultura moderna ci parlano del desiderio dell’uomo di superarsi, di andare oltre le sue barriere, di conoscere, di sentirsi libero e quindi felice. È compito dei cristiani di oggi non abolire tutte queste cose, ma portarle a compimento orientandole a Dio.

Solo così si potrà evitare “la rottura tra Vangelo e cultura” che secondo Paolo VI “è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre”.

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