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Educatori consapevoli: occorre il coraggio di una proposta più alta

Francesco Rossi
Coraggio, speranza, fiducia, formazione, testimonianza, credibilità e concretezza: sono queste le parole chiave emerse alla fine del XIII convegno nazionale di pastorale giovanile (Genova, 10-13 febbraio) sul tema “Tra il porto e l’orizzonte – le direzioni della cura educativa nella comunità cristiana”. Oltre 550 tra educatori e operatori di pastorale giovanile, provenienti da 150 diocesi italiane, hanno riempito i saloni dei ‘Magazzini del cotone” del porto antico del capoluogo ligure, e discusso su come suscitare nei giovani un nuovo desiderio di vivere e su quale contributo la comunità adulta può offrire alle nuove generazioni per educarle e accompagnarle nella scoperta della propria vocazione. Non solo ‘fare’, dunque, ma ‘essere’, le azioni come conseguenza della propria esistenza.
 
Guide credibili. E i primi ad esserne consapevoli sono gli educatori che non si nascondono le responsabilità, come Michele Tufo, del Servizio di pastorale giovanile della diocesi di Foligno: “Davanti ai tanti stimoli in cui i giovani sono immersi, molti dei quali contrastanti e ingannevoli, occorre la capacità di indicare loro con chiarezza, la direzione migliore. C’è bisogno di guide credibili, siano esse laici, religiosi, sacerdoti o vescovi. Organizzare attività e iniziative non basta”. Da tempo, aggiunge Tufo, “nella nostra diocesi abbiamo scelto di privilegiare un’azione sinergica con altri uffici pastorali (famiglia, lavoro, vocazioni, sport e tempo libero) e movimenti per mettere in moto sempre più talenti. Non tante iniziative ma l’iniziativa”. Dello stesso avviso anche Angela Marino, educatrice della diocesi di Cassano allo Jonio. “Le idee da concretizzare anche in una realtà complessa e difficile come quella calabrese sono tante. Torniamo da Genova con la consapevolezza di metterci in gioco con più fatti e meno parole ma soprattutto con più testimonianza di fede”. Le difficoltà sociali ed economiche del territorio si superano con “il coraggio, quello che ti fa essere della partita senza diventare spettatore, e con la speranza. Se non ci aggrappiamo alla speranza sarà difficile venir fuori da situazioni gravi e complesse come quelle in cui viviamo. La principale è costruirsi una vita e progetti come quello di “Policoro”, ci dimostrano che da noi è possibile. Una pastorale giovanile che si rispetti deve dare ragione ai giovani di questa speranza”.
Paura di osare. Uno dei punti principali emersi a Genova, secondo Maria De Luca, della diocesi di Benevento, è “la formazione permanente degli educatori necessaria per poter offrire ai nostri ragazzi i giusti aiuti. Perché prendano il largo devono avere fiducia o forza interiore. Spesso – riconosce De Luca – proponiamo tante attività ma non riusciamo a trasmettere la fiducia. Dal convegno arriva un forte stimolo a lavorare in questa direzione. Dobbiamo essere i primi testimoni di ciò che facciamo e professiamo. Non possiamo più nasconderci dietro frasi del tipo ‘i giovani sono stanchi, non hanno voglia’. Credo sia un atteggiamento che nasconde la paura di osare degli educatori. Il giovane vuole avere da noi non solo carezze o abbracci ma anche delle regole che spesso tendiamo ad eliminare perché temiamo che non le accettino e se ne vadano. Alzare il livello della proposta per affascinarli sempre più, per questo bisogna puntare all’Alto”. Sulla paura degli educatori si sofferma anche don Emanuele Poletti, della diocesi di Bergamo. “Il lavoro da fare è ancora tanto: in questi anni ci siamo buttati sull’aspetto aggregativo per paura di perdere i giovani; adesso invece abbiamo la consapevolezza che occorre dare profondità a questi legami, non avendo paura della radicalità nel vivere la fede. Non si tratta di tornare a forme passate – ancorché viste con nostalgia da alcuni – ma portare i destinatari della pastorale giovanile a vivere una vita ‘migliore’, quella ‘vita buona’ che ci indicano i nostri vescovi. Dobbiamo mostrare loro il Vangelo vissuto e, quindi, siamo chiamati a essere innanzitutto testimoni. Al Nord è molto sviluppata la formula dell’oratorio, che però non va proposto per le strutture che ha e ciò che fa, quanto piuttosto per lo stile educativo. Questo stile accomuna tutti coloro che hanno a cuore l’educazione dei più giovani, sia che lavorino in parrocchia o negli oratori, sia nelle associazioni o nei movimenti. L’importante è che ci siano criteri evangelici ed ecclesiali”.
Convertire i preti. Per Francesco Donvitto, di Bari, “è importante collaborare tra le diverse anime della Pastorale giovanile, uscire dal ‘provincialismo’ che ancora si vive a livello parrocchiale o associativo. Ora, più che un contesto dove ritrovarsi tutti, la Pastorale giovanile rischia di essere una proposta ulteriore a fianco di tante altre. Il nostro luogo di riferimento è la parrocchia: è qui che la comunità cristiana cresce e, al suo interno, vi deve essere pure la cura per le giovani generazioni. Ma dobbiamo ‘convertire’ i nostri preti perché troppo spesso si tende a lavorare nel proprio orticello”.