da Bruxelles, di Gianni Borsa
Con lo slogan “Questa volta è diverso” il Parlamento europeo ha realizzato una campagna di sensibilizzazione che entra nel vivo oggi, a 100 giorni dal voto per l’Assemblea di Strasburgo. Fra il 22 e il 25 maggio – a seconda degli usi e delle leggi elettorali di ciascun Paese – i cittadini dell’Unione saranno chiamati a scegliere i propri rappresentanti nell’unica istituzione comunitaria eletta a suffragio universale. L’Emiciclo negli ultimi anni, in base al Trattato di Lisbona, ha acquisito più ampi e solidi poteri legislativi e di bilancio in seno all’Ue e anche voce in capitolo nella nomina del presidente della Commissione che sostituirà il portoghese Barroso ormai prossimo alla fine del mandato.
Ma perché questa volta dovrebbe essere “diverso” il voto per l’Europarlamento? Le risposte potrebbero essere fin troppo evidenti. Siamo anzitutto in piena crisi, non solo economica ma anche politica: c’è un diffuso deficit di credibilità tanto per le istituzioni Ue che per governi e parlamenti nazionali. Secondo: i cittadini, proprio a causa delle ricadute concrete e del malessere sociale generato dalla crisi, si sono ulteriormente allontanati dal “progetto europeo”, anche perché proprio i politici nazionali e i mass media hanno attributo a Bruxelles e Strasburgo tutte le colpe possibili e immaginabili, andando ben al di là dei limiti pur evidenti di tale progetto. Terzo elemento: la globalizzazione pone ogni giorno sfide nuove (ad esempio nei settori della finanza, dei mercati, delle comunicazioni, della sicurezza, della demografia, del lavoro, dei diritti, dell’energia…) che hanno reso meno solide talune certezze valoriali e comportamentali e tradizioni territoriali acquisite nel tempo, di fronte a cui non si hanno ancora risposte convincenti, lasciando così spazio all’unica proposta “alternativa” finora emersa: chiudersi nei confini – comunali, regionali, statali – e tagliar fuori il resto del mondo. E l’elenco potrebbe continuare.
Il voto per l’Europarlamento questa volta è diverso, dunque, non perché l’Assemblea di Strasburgo ha più poteri e, dunque, il voto dei cittadini conterà effettivamente di più. Su questo filone si è innestata la campagna che vorrebbe sensibilizzare al voto, tanto da mettere in circolazione un ulteriore slogan che, a seconda delle diverse lingue europee, suona così: “Agire. Reagire. Decidere”. No, le elezioni di fine maggio saranno differenti perché sono profondamente mutati il “clima” e i sentimenti verso la “casa comune”. Il nazionalismo cresce ovunque, il protezionismo economico riemerge dal fondo della storia e trova nuovi assertori, il populismo fa da collante a tutto ciò: slogan semplici, parole “contro” (contro l’Ue, i politici di ogni tendenza e partito, gli stranieri, i rom, i vicini di casa se questi attentano al mio interesse particolare). La ricetta è servita.
L’esito del voto in Svizzera sull’iniziativa popolare relativa all’immigrazione è a suo modo lo specchio di questo clima. E benché la Confederazione elvetica non faccia parte dell’Ue, proprio all’Unione essa lancia un segnale forte: la campagna elettorale europea è iniziata, si facciano avanti populisti e nazionalisti, si mettano i popoli e gli Stati europei uno contro l’altro, e alla fine si vedrà.
Esistono strade alternative a questa deriva che tende a mandare all’aria mezzo secolo di integrazione economica e politica? Ci sono proposte migliori per restare dentro le dinamiche storiche, per “fare massa” rispetto alla competizione sui mercati internazionali, per creare un attore politico veramente “globale”, sostenuto da istituzioni democratiche funzionanti in rappresentanza di mezzo miliardo di cittadini?
Nessuno ha una formula magica pronta in tasca. Ma di sicuro la risposta a tali interrogativi dovrà passare ancora una volta da una politica “a misura d’uomo” e “di umanità”, dalla democrazia rappresentativa che cresce dal basso, dalla collaborazione su scala europea dei Paesi che fanno parte del vecchio continente. Scorciatoie non ne esistono: quelle intraprese in passato hanno condotto esattamente dalla parte opposta, alle divisioni, a interessi contrastanti, quindi alle guerre e alle sofferenze. L’Europa è già stata oggetto per secoli dei nazionalismi e degli egoismi di parte. Ora non può che proseguire sulla via della democrazia, certo mutando rotta per evitare quegli errori che non sono mancati e per raggiungere quei risultati che i cittadini si attendono: pace, benessere, diritti, sicurezza, rispetto e valorizzazione delle diversità che sono il sale e il lievito dell’Europa moderna.
La campagna elettorale verso il 22-25 maggio sta decollando. Partiti e candidati dovranno spiegare ai cittadini sulla base di quali principi e programmi chiederanno il sostegno elettorale. La palla passerà tra 100 giorni agli stessi cittadini: il futuro sarà più che mai nelle loro mani.

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