La rete è il nuovo confessionale? Il sacramento della riconciliazione non si amministra online, ma sono sempre più le persone che ricorrono ai social network per “confessare” in forma anonima qualunque cosa abbiano vissuto o fatto. Whisper, il sito più apprezzato del genere, nonostante sia nato solo nel 2012 ha un traffico di 800mila messaggi al giorno e ha raggiunto lo scorso maggio il record di 1,5 miliardi di pagine visualizzate. Grande successo riscuotono Insegreto, Postsecret, Sfoghiamoci, Notefull, alcuni dei siti che puntano sul fascino del segreto, vero o inventato che sia, dalla semplice brutta figura ai presunti omicidi, come quello denunciato da una “cartolina” pubblicata su Postsecret da un utente lo scorso settembre: “Voleva scaricarmi; l’ho scaricata io (il suo corpo)”.
Dall’anonimato alla personalizzazione. “I social network funzionano – afferma don Paolo Padrini, coordinatore del progetto Pope2You per il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali – perché intercettano desideri e aspirazioni, anche mal gestiti o non del tutto sani, tipici di ogni uomo e ogni donna. Senza voler dare una valutazione morale e lasciando da parte il discorso della confessione sacramentale (tutt’altra cosa), i social network intercettano comunque delle istanze reali”. Una voglia di raccontarsi tra narcisismo e narrazione che fa da contraltare alle difficoltà nell’avvicinarsi al vero confessionale, tema su cui anche Papa Francesco, nell’udienza generale del 20 novembre scorso, è intervenuto, sottolineando come “tante persone forse non capiscono la dimensione ecclesiale del perdono, perché domina sempre l’individualismo, il soggettivismo, e anche noi cristiani ne risentiamo”. “Non c’è alcun rapporto – chiarisce don Marco Sanavio, curatore del blog ‘Un prete in rete’ di Famiglia Cristiana – tra questa forma di ‘confessione’ e il sacramento, il quale prevede che ci sia un incontro vitale, in presenza, che riconcilia la persona con Dio e la Chiesa. Il rapporto mediato dall’elettronica modifica anche l’antropologia dell’incontro”. Che può tramutarsi in un rito auto-assolutorio. “Qualsiasi cosa – commenta don Luca Pedroli, insegnante di Sacra Scrittura al Pontificio istituto biblico e tra i sacerdoti animatori del sito pretionline.it – anche la peggiore, la butto nel calderone che è il vissuto della comunità, pensando che confondendosi col vissuto di tutti se ne alleggerisca il peso. C’è il rischio di cadere nel relativismo assoluto. Ogni cosa che uno può fare è insindacabile, solo io decido se una cosa è bene o male, non ci sono elementi oggettivi per valutare”. Anche perché la persona si cela all’ombra dell’anonimato, che ha un ruolo molto diverso rispetto a quanto avviene nella riconciliazione. “L’anonimato – dichiara don Padrini, che è anche l’inventore dell’App “iBreviary” – non è stato inventato dai social network. Detto questo, il senso del pudore va gestito in modo positivo – perché è un valore vero – mentre se è considerato nel senso proprio del termine ‘anonimato’, diventa foriero di deresponsabilizzazione, e comunque di problemi nei rapporti con le persone. Lo scopo della confessione non è l’anonimato per l’anonimato, ma un dialogo personale con Dio, all’interno appunto della dimensione sacramentale ed ecclesiale garantita dal sacerdote. Non è anonimato, ma personalizzazione; la questione è mia, me la vedo io nella chiesa e nella comunità, mi prendo la responsabilità, il Signore sta guardando me”.
Online per dialogare. Su internet non manca l’esperienza di chi cerca di confrontarsi con questo desiderio di raccontarsi. “Quante persone – spiega don Padrini – hanno l’esigenza di scrivere una cosa in forma di lettera anziché dirla? Sono generi letterari diversi, i metalinguaggi valgono quanto i linguaggi. Il problema non è impedire ai social network di intercettare queste istanze, sarebbe come svuotare il mare con un bicchiere. Semmai vediamo come mettere nel mare le boe per avvisare dove l’acqua è troppo profonda”. Sono diversi i casi di sacerdoti presenti online a questo fine. “È il luogo – commenta don Pedroli – in cui oggi si muovono i giovani e non solo. Bisogna avere un’attenzione particolare: non cadere nel rischio di sostituire questi incontri con la relazione personale, perché questi servizi vanno bene come primo momento che porti alla nascita di una relazione. Non si può collocare la rete nel contesto ministeriale, il contatto sul web può essere propedeutico a questo”.
Della stessa opinione don Sanavio: “Personalmente utilizzo molto una modalità mista di contatto, in parte mediata dall’elettronica e in parte in presenza, il cosiddetto contatto ‘blended’ che permette di far nascere e mantenere le relazioni attraverso l’elettronica ma ha bisogno del contatto dal vivo.
L’aspetto di cura, di presa in carico è fondamentale nel mondo permeato dal contatto digitale. Come nella parabola del Samaritano, così nel cyberspazio è importante fermarsi a curare le ferite e il fermarsi richiede di spezzare il ritmo vorticoso che viene impresso dalla modernità alle nostre vite”.

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