electroluxBruno Cescon

Decretata la fine, anzi la morte, dell’Electrolux di Porcia.
Pessimismo il nostro? Ce lo auguriamo di tutto cuore. Anzitutto, per le maestranze che non se lo meritano. Sono di qualità. Secondo, perché quando le cose vanno male la colpa non può essere sempre dei più piccoli, degli operai, dei dipendenti. E mai del capitale, dei manager.
Irricevibile va invece considerata la proposta del team dirigenziale italo-svedese di abbassare gli stipendi da 1400 euro fino a 700. Proposta fatta anche per gli altri impianti industriali dell’Electrolux: Susegana, Solaro e Forlì, dove per lo meno sono previsti degli investimenti.
Lo è sul piano umano. Porcia e gli altri siti italiani non sono la Polonia o qualunque altro Paese sfruttato da queste multinazionali.
Sfruttare è una parola divenuta desueta nella mentalità comune, ma non ha perso tutta la sua verità.
Basti dire, per riferirsi solo all’Italia, che il 10 per cento della popolazione detiene quasi il 50 per cento della ricchezza dell’Italia intera. Il fenomeno riguarda in termini più o meno uguali tutta l’Europa. In tempi di crisi i ricchi sono diventati più ricchi, mentre con il loro strapotere economico ingaggiano tra noi e la Polonia, tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, una guerra tra poveri.
Si dirà o si vuol far credere che le difficoltà di Porcia sono da addebitarsi al costo del lavoro in Italia, che come sappiamo tra l’altro è inferiore alla Germania e in genere ai Paesi nordici. Ma è questa la causa? Circa quattro anni fa l’Electrolux elaborò un piano industriale per Porcia. È già decotto? Ve la immaginate una Volkswagen che sbaglia in questo modo la programmazione? Impensabile! 
In effetti, non si dice che la filiera degli elettrodomestici è satura in termini di prodotto, proprio perché non è stata avviata l’innovazione necessaria. Di fatto a Porcia si è sbagliato posizionamento sul mercato, suggeriscono gli analisti e gli economisti. A chi toccava questo compito? Proprio ai manager che non hanno avuto il coraggio di avanzarlo alla proprietà e che ora hanno proposto la riduzione vergognosa degli stipendi. Eppure, anche dall’interno della fabbrica erano venute delle proposte interessanti.
Del resto alla società svedese non interessa il fatturato prodotto in Italia per distribuire i dividendi. Il fatturato si può raggiungere con i grandi numeri di una produzione dequalificata come si può attuare in Polonia o in Ungheria, utilizzando persino i fondi europei, che sempre soldi nostri sono.
Ora s’invoca l’intervento della regione Friuli Venezia Giulia e del governo, che dovrebbero stanziare altri fondi.
Come se l’Electrolux non avesse alcun obbligo etico nei nostri riguardi, visto che per l’acquisizione della Zanussi negli anni Ottanta ha ricevuto un consistente pacchetto di miliardi di lire forniti dalla regione Friuli attraverso la sua finanziaria.
Ora un’azienda è costituita dalle risorse del capitale, del lavoro e del patrimonio. I sacrifici si chiedono solo al lavoro.
Per Pordenone, dove è nata la fabbrica con Lino Zanussi, morto in un incidente aereo in Spagna il 18 giugno 1968, la fine dell’azienda, oramai quasi certa, è una sconfitta storica e un dramma per migliaia di famiglie.
Anzi rischia d’essere una sconfitta della speranza, della fiducia.
Eppure i talenti non mancano. E anche i capitali. S’investa con coraggio e intelligenza come il pioniere Lino.

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