Di Alberto Campaleoni

Con o senza carta, l’importante è che sia scuola.
Viene da pensare così leggendo le notizie che ogni tanto rimbalzano sui media relativamente a realtà scolastiche che già stanno usando tablet, lavagne multimediali, cloud e quant’altro fa tecnologia.
L’ultima “vetrina” riguarda una scuola di Bardonecchia, l’istituto paritario “Frejus”, una scuola “total tablet” – così viene presentata sui media – dove si sperimenta una didattica interamente affidata alle tecnologie digitali che comprende anche lezioni in rete e possibilità di frequenza a distanza per gli allievi i quali in alcune occasioni sono impegnati altrove, in gare sportive.
Compiti che “si creano”, si condividono, si arricchiscono con il contributo di tutti. Cartine in 3D (!), video e audio e chi più ne ha più ne metta. Naturalmente ci sono insegnanti selezionati, giovani, under 35. Il preside, Gianni Valentini, è invece un “over 60” – ma evidentemente l’età non è decisiva – che confida nelle tecnologie e spiega: “I ragazzi sono sempre più abituati a usare lo schermo e non i libri. È inutile lottare per farli tornare alla carta”. Bisogna partire dal loro terreno, dunque, con una scuola “senza carta” dove – dice ancora Valentini – è decisiva la presenza di “un corpo insegnante perfettamente aderente all’obiettivo. Abbiamo passato due estati a vagliare una serie di professori dotati di certe conoscenze informatiche e li abbiamo formati”.
Non può mancare, infine, il richiamo al risparmio: in una scuola così si spende meno. Niente pile pesanti di libri di carta, ma bisogna acquistare solo il tablet (con assicurazione) e tutto è a disposizione.
Senza togliere nulla alla sperimentazione piemontese, cui se ne potrebbero affiancare altre – a Bergamo, ad esempio, o in altre città – viene comunque da riflettere andando oltre l’enfasi che solitamente accompagna i resoconti di tali esperienze. Anzitutto a partire dagli insegnanti: un corpo docente preparato è condizione indispensabile perché la cosiddetta “didattica digitale” venga avviata e funzioni. Condizione assolutamente non scontata: sul terreno della formazione siamo ancora agli inizi, bisogna investire. Poi va considerata una certa “retorica della tecnologia”, come se tablet e lavagne multimediali facessero miracoli. “Ho visto cose…”, recitava uno spot pubblicitario e talvolta sembra di ascoltare lo stesso refrain. Vogliamo mettere una “mappa in 3D” con una “volgare” riproduzione su carta? Ecco, la tecnologia apre certamente scenari nuovi e possibilità molteplici, ma lo scintillio delle potenzialità rischia anche di abbagliare e di non far scorgere la prima e vera “tecnologia” della scuola: le persone che sono protagoniste dei processi scolastici e che, “con o senza carta”, sono impegnate in un percorso di crescita che porta i più piccoli a diventare grandi. Adulti, cittadini responsabili.
Questo vuol dire essere e fare scuola, con o senza tecnologie digitali. I tablet aiutano a studiare meglio? A promuovere conquiste di saperi e abilità al passo con le esigenze contemporanee? Anche a risparmiare in un sistema scolastico sempre più “povero”? Probabilmente sì. Ma servono formazione – si diceva – e un buon paio di occhiali scuri per non farsi accecare dagli entusiasmi. E poi se si dovranno pensionare i libri, allora sia. Senza però pensionare la “scuola”. Quella vera.

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