giovaneDi Luigi Crimella

All’inizio fu la Rai (era il 3 gennaio 1954, 60 anni fa), con un primo e per un po’ “unico” canale televisivo. Poi furono due, poi tre. Poi venne Berlusconi con le sue reti, e i canali a disposizione del pubblico furono sei. Poi 9. E ora con il digitale terrestre sono oltre 150. Se sommiamo Sky, Mediaset Premium e altri, l’offerta televisiva ha raggiunto quella che potrebbe essere considerata la saturazione del mercato: da qui in avanti c’è solo il rischio di “cannibalizzazione”. Cioè, i vari canali che si mangiano l’un l’altro. La guerra interna alle reti televisive è in corso da anni, a colpi di audience, vale a dire di pubblico conquistato ogni giorno. Se cresce l’audience, cresce la pubblicità, e la battaglia è sulle fasce orarie giornaliere di maggiore ascolto: lì girano letteralmente “milioni”, nel senso di budget molto rilevanti. Dentro questo meccanismo, un po’ infernale, che si autoalimenta da solo con eccessi inverosimili, quali i cachet milionari di presentatori e conduttori di “talk” politici o culinari, un problema è sempre stato all’attenzione di tutti: quello di tutelare i minori. Perché la tivù, come è noto, arriva in tutte le case ad ogni ora del giorno e della notte. Così, piano piano, l’opinione pubblica, il giornalismo e la cultura, le famiglie, e infine anche il legislatore hanno costruito un’impalcatura di regolamenti e norme per mettere un argine ad abusi, scene violente, pornografia, devianze, bullismi.
Il nuovo “nemico” nelle case di tutti. Si potrebbe quasi dire che quella che una volta era la “cattiva maestra”, come avevano tuonato Pasolini e Popper, oggi sia diventata una “maestrina” addomesticata e per bene, che fa ogni sforzo per non contravvenire alle norme che le sono imposte da una legislazione particolarmente ampia e severa: dalla legge sulla stampa del 1948, al Libro Verde del 1996, alle prime Direttive dell’Unione europea del 1997, fino alle leggi “Maccanico”, “Gasparri” e ai Codici più recenti, su tutti quello di “autoregolamentazione media e minori” del 2002. Situazione idilliaca, quindi, in cui le famiglie possono stare tranquille e gli editori televisivi sono degli “angioletti” che puntano a una equilibrata crescita fisica, psicologica e morale dei ragazzi? Troppo bello per essere vero! Le “fasce protette”, il “controllo parentale”, i reclami al “Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza”, il “Comitato Media e Minori”, le associazioni dei telespettatori, il “Consiglio nazionale degli utenti”, tutte queste realtà devono oggi ammettere che c’è da stare all’erta non solo per la tivù, ma anche per un nuovo e più potente nemico della gioventù: la rete internet. Se ne è parlato a Roma venerdì 24 gennaio, presso la sede dell’Autorità per la garanzia delle comunicazioni (Agcom), alla presentazione del “Libro Bianco Media e Minori”.
Le situazioni estreme presenti sul web. Il rapporto è stato curato per conto dell’Agcom dal Censis, diretto da Giuseppe De Rita. La responsabile della ricerca, Elisa Manna, ha spiegato che ormai disponiamo, su scala internazionale, di una pluralità di norme a tutela degli adolescenti e delle famiglie. Ma l’avvento di internet sta cambiando tutto: quei genitori che temono per un “filmetto” un po’ spinto in fascia pomeridiana dovrebbero invece guardarsi da ben altre minacce: i siti della violenza estrema, dei riti iniziatici per le gang definiti “orripilanti”; oppure dai siti pornografici, facilmente accessibili e visitati da circa il 70% dei teenagers. Dal “Libro Bianco” emerge che la multimedialità dei giovanissimi, che insieme “chattano” sullo smartphone, navigano in rete sul pc, guardano distrattamente un programma tivù e, forse, riescono contemporaneamente a studiare qualcosa su un vecchio libro, genera insieme aspetti positivi e negativi. I primi consistono nella capacità di gestire più impegni contemporaneamente, l’aumento dei riflessi, l’internazionalizzazione. I secondi, invece, nell’assuefazione alla violenza, a una sessualità senza regole e spesso meccanica e aggressiva, a difficoltà di apprendimento profondo e meditato, a una percezione distorta della realtà.
Molteplicità di “punti di attacco” ai giovanissimi. E poi è emerso che se una volta, con la tivù, il punto di attacco all’innocenza dei piccoli era solo lo schermo televisivo, oggi i veicoli sono molteplici: pagine web, posta elettronica, messaggistica istantanea (WhatsApp ecc.), chat-room, forum, peer-to-peer, streaming video. Insomma, una miriade di canali da cui possono partire assalti alla delicata psicologia in via di formazione dei minori, con danni potenziali molto più consistenti ed elevati di quelli che potevano provenire dalla “vecchia” tivù. Come spiegare diversamente la ipersessualizzazione dei ragazzi, l’aumento di comportamenti abnormi quali esibizionismo, esperienze omosessuali, prostituzione precocissima, violenze di gruppo, bullismi di ogni genere, stalking, per non parlare del “grooming” cioè l’adescamento in chat da parte di adulti che si fingono coetanei? Al convegno di Roma sono intervenute autorità nel settore, quali Angelo Cardani (Agcom), Enzo Cheli (Corte Costituzionale), Vincenzo Spadafora (Garante infanzia), Maurizio Mensi (Comitato Media e Minori), Angela Mambretti (Consiglio nazionale utenti), Valerio Neri (Save the Children). Da tutti un appello a spingere avanti lo sguardo su come poter in qualche modo “controllare” l’incontrollabile: cioè il web, che porta i giovani a perdersi – si è detto – in una “realtà virtuale” che può essere estremamente pericolosa, per loro e per tutti.

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