suoreDi don Simone Chiappetta di www.laporzione.it

Una donna, un imprevisto che spesso chiamiamo gioia, e tanta solitudine.
È questa la notizia che si legge, oltre le righe, nella storia della suora che, qualche giorno fa, ha partorito un bimbo.
Doppi sensi, battutine a sesso unico, interrogativi sulle affermazioni di una ragazza troppo furba o troppo ingenua, ma senza dubbio 3 kg che pesano come un macigno nella vita di una donna che non è stata, probabilmente, mai donna e di una comunità che non è mai stata, sicuramente, comunità.
Eh sì, perché la sorpresa per un parto così “naturale” fa gridare allo scandalo o affermare quella maschilista affermazione che «in fondo il sesso lo fan tutti», ma ancora non insinua il dubbio sul valore delle comunità e l’“innaturale” stare insieme per essere completamenti soli.
La suora-madre cela, purtroppo, il tacito malessere comune, la sorda testimonianza, il grido afono di confratelli uniti da un “abito” troppo stretto per accogliere cambiamenti e troppo largo per mostrare i profili delle persone.
Quella stessa suora e la sua comunità – che continuiamo a chiamar così per consuetudine – come tante suore, come tanti frati e preti, come tanti laici impegnati nelle comunità parrocchiali, mostrano in pubblico il valore della preghiera comune, delle celebrazioni di unità, ma velano di nero, troppo spesso, le relazioni, l’amicizia e la possibilità di sentirsi ascoltati e accolti nelle differenze.
Nascondono l’ideale iscritto nel senso più profondo della comunità, la possibilità di poter condividere problemi e gioie e di sentire sincera compassione, reciproco e rispettoso aiuto. Lo scandalo è vivere e pregare fianco a fianco e non accorgersi dei cambiamenti dell’altro.
Il rischio, insomma, è che una suora che rivela la naturalezza fisica di essere donna, insieme all’incapacità di esserlo realmente assumendosi ogni responsabilità, sia l’ennesima occasione per trovare il capro espiatorio o le Maddalene di turno da allontanare e “lapidare”, invece di un’opportunità – e qui lo Spirito Santo potrebbe davvero averci messo lo “zampino” – per interrogarsi sul senso e il valore dello stare insieme, ripartendo dal principio della realtà e dai fallimenti e per trasformare le nostre “caste” fraternità in “feconde” relazionalità.

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