MIDEAST-ISRAEL-PALESTINIAN-BARRIERDi Daniele Rocchi
“Il mio giocatore preferito? Ibrahimovic”. “I calciatori più talentuosi? Non i brasiliani ma quelli che provengono dai Balcani. Il talento al servizio della squadra”. Niveen Hazboun, 18 anni, iscritta al primo anno della facoltà di scienze dell’educazione all’università cattolica di Betlemme, sciorina una grande competenza calcistica. Appassionata di calcio ha un grande sogno nel cassetto: “giocare a calcio in una delle due squadre femminili di Betlemme. Mi piacerebbe molto anche se una certa mentalità palestinese dice che è un gioco per uomini. Per loro le ragazze che giocano a calcio perdono la femminilità. Non è vero. Comunque, adesso, l’ostacolo più grande è il mio medico che mi ha vietato gli allenamenti” dice ridendo mentre siede su una panchina del parco dell’università. Dietro di lei, sullo sfondo, quel serpente di cemento armato, che gli israeliani chiamano barriera di sicurezza, ma che per i palestinesi di Betlemme è un muro invalicabile che imprigiona le loro vite e rischia di spezzarne i sogni. Non si rassegna Niveen che sa bene che deve studiare molto per laurearsi e progettare una vita fatta di un lavoro da insegnante, di una famiglia ma anche di tanti sogni da realizzare, come quello di correre dietro un pallone su un campo di calcio.
Non è facile la vita per i giovani di Betlemme. L’occupazione israeliana, con il muro e i suoi 27 insediamenti colonici, premono sulla città che ne risente sotto il profilo economico e sociale. La disoccupazione è altissima e i suoi abitanti non possono uscire per cercare lavoro nella vicina Gerusalemme. I soldati israeliani ai check point decidono chi deve entrare e chi deve uscire dalla città. Non bastano certo i tre teatri cittadini o qualche altra attrazione a dare loro un senso di normalità, ma questa è la realtà con cui bisogna fare i conti, ogni giorno. Marina Al-Qassies, 18 anni, studia religione, ma “da grande” vuole diventare “una brava estetista. Amo il make up”. In segreto rivela il suo sogno, al quale non vuole rinunciare: “viaggiare e conoscere nuovi Paesi. Ma sarebbe già una gran cosa – riconosce con crudo realismo – poter uscire e rientrare a Betlemme”. I social network e la rete sono i suoi mezzi di trasporto, per adesso. “Con Google posso andare dappertutto” afferma scherzando, ma non troppo. Intanto studia per costruirsi un futuro nel mondo del turismo religioso, da sempre una delle principali fonti di reddito della città. Nessuna tra Niveen e Marina intende emigrare, andarsene via da Betlemme per trovare fortuna altrove, come hanno fatto moltissimi prima di loro, soprattutto cristiani. Ma il rischio è sempre in agguato. Uscire per non tornare in più. Magari in America Latina o negli Usa, dove molti palestinesi hanno trovato fortuna. “Non vogliamo lasciare la terra dove siamo nate – dicono in coro – qui non siamo né cristiani, né musulmani, ma solo palestinesi, facciamo parte di un popolo che rivendica un suo Stato. Siamo cresciute con amici musulmani e siamo tutti una famiglia. Questa è la nostra terra”.
“Betlemme è il posto migliore dove vivere, perché è dove siamo nati, la nostra casa”, ribadisce Jacoub Sleibi, 27 anni, laureato in informatica con un master in Gran Bretagna. “Sono rientrato un mese fa da Brighton e ora cerco un lavoro che non c’è. Ma non è questo ciò che desidero di più. Il mio sogno è quello di sposarmi, avere dei figli ai quali insegnare i valori evangelici per vivere in pace. Non abbiamo uno Stato e questo è un grave problema. Ma non avremo mai uno Stato se a parlare saranno le armi, gli abusi e la violenza. Servono il dialogo e la riconciliazione come esorta Papa Francesco. Spero che un giorno i miei figli possano andare a Gerusalemme a pregare sui luoghi santi. Oggi per moltissimi di noi non è possibile a causa dell’occupazione”. Una terra violentata dalla presenza militare israeliana è ciò che vuole raccontare Nour Qudeimat, ventenne, studentessa di letteratura inglese amante della scrittura. “Il mio sogno è quello di scrivere un romanzo in cui racconto ciò che vivo ogni giorno a causa dell’occupazione”. Un’autobiografia, forse? Ride, quasi in un gesto di assenso. I sogni si infrangono sul muro che vi circonda? “Nulla può fermare o impedire i nostri sogni – risponde senza esitazione – sono questi che ci fanno volare oltre il muro ed immaginare una vita diversa, ci fanno guardare al futuro con più speranza. Non esiste check point che può arrestare il sogno che abbiamo dentro di noi. Non posso uscire, non posso muovermi, non posso visitare l’Italia che è un Paese che amo molto, ma posso sognare e provare a realizzare il mio sogno. Anche questa è libertà”. Qualcuno una volta ha scritto: “la vera bellezza dei sogni risiede nella loro atmosfera di libertà infinita”. A Betlemme questo è vero. I sogni volano oltre il muro.

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