giornali
Di Paolo Bustaffa
Alla fine come si esce dalla, più o meno abbondante, alimentazione mediatica che ogni giorno offre notizie buone e cattive? Quali effetti, diretti o collaterali, sono provocati dalla lettura, dall’ascolto e dalla visione di fatti e pensieri che quotidianamente si accavallano nei media? Come non fuggire da un presente in continua agitazione? Come vivere il presente con equilibrio e responsabilità? Come ritrovare se stessi nel vortice?
Le domande arrivano puntualmente alla fine della lettura di un giornale, dopo l’ascolto di un servizio radiofonico, al termine di un telegiornale oppure, assai più semplicemente, durante un viaggio in autobus o una camminata in città.
Non scorrere pagine, non premere tasti per accendere un video, non aprire porte e finestre, non mette al riparo dalle domande scomode perché queste comunque arrivano a bussare alla porta della mente e del cuore. La cronaca scorre impetuosa anche nella casa accanto, nella piazza vicina, lungo le strade che ogni giorno si percorrono.
Come vivere il presente senza smarrirsi oppure senza essere guidati , passo dopo passo, da uno strumento tecnologico così intelligente da sembrare umano?
Dunque, come ritrovare se stessi?
C’è chi è pronto a dare risposte e a suggerire una cura perché, dicono gli analisti, siamo alle prese con una malattia di massa, a una nevrosi collettiva.
Ecco puntualmente arrivare i libri con i consigli per gli smarriti e i disorientati. Si va dal suggerimento, forse non molto innovativo, di trovare un posto confortevole per sedersi a quello, altrettanto poco stupefacente, di aprire gli occhi dopo mezzora di sosta e fare due brevi respiri per entrare nella giornata.
Il nome della cura è “Mindfulness” cioè essere presenti con la mente agli incroci della vita di ogni giorno. Qualcuno la chiama “Heartfulness cioè essere presenti con il cuore. Probabilmente si arriverà a una cura unica per l’una e per l’altro.
Si può anche fare del sano umorismo ma la Mindfulness mette in evidenza qualcosa di importante e preoccupante. Segnala cioè la mancanza di serenità di fronte alla fatica di vivere e di pensare in una realtà complessa, in continuo e rapido mutamento.
La mancanza di serenità è un male sottile e diffuso che i media segnalano ogni giorno nelle notizie, con il loro linguaggio spesso amaro e crudo. D’altra parte i media non hanno il compito di alleviare le sofferenza e di curare le ferite che raccontano.
Cosa fare? Fuggire dal mondo o distaccarsi dal mondo?
Fuggire sarebbe illusorio perché il mondo corre molto più velocemente del fuggitivo, lo raggiungerebbe e lo agguanterebbe quando meno se lo aspetta. Distaccarsi dal mondo è, invece, tutt’altra scelta. Non una fuga ma una distanza responsabile da costruire ogni giorno di fronte a fatti, tristi o lieti che siano, e di fronte ai racconti che ne vengono fatti , fedeli o infedeli che siano.
Si possono aprire molti e diversi pensieri. C’è un’immagine suggerita da Christian Bobin che forse può fare da apripista: “Teresa D’Avila quando preparava da mangiare per le sue consorelle, era intenta alla buona cottura di un piatto e nello stesso tempo concepiva splendidi pensieri su Dio. Esercitava allora quell’arte di vivere che è l’arte più grande: gioire dell’eterno prendendosi cura dell’effimero”.
È questo un suggerimento, assente nei libri della Mildfulness, per costruire giorno per giorno una serenità responsabile. Una serenità che non nasce da una fuga ma da un distacco indispensabile per comprendere e, quindi, per amare di più il mondo.

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