imageSono molte le pubblicazioni in questi ultimi anni che aiutano i lettori ad avvicinarsi al mondo della fede attraverso l’arte. Basti pensare ai volumi di Timothy Verdon, Maria Gloria Riva o Maria Rosa Poggio. A questa ampia letteratura si aggiunge un interessante volume del gesuita Andrea Dall’Asta intitolato “Dio storia dell’uomo. Dalla parola all’immagine” delle Edizioni Messaggero Padova.

Il testo, più che una raccolta di opere d’arte di ispirazione religiosa e delle loro relative spiegazioni, si propone come una riflessione di ampio respiro sul rapporto fra parola e immagine, come messo in luce già nel titolo.

Tutte le esperienze gnoseologiche e religiose si sbilanciano a favore del dato visivo, come nel mondo greco, dove si predilige l’osservazione della realtà, oppure di quello uditivo, come nella cultura ebraica, dove il popolo eletto si mette in ascolto della rivelazione divina. L’autore invece mostra come il cristianesimo offra una straordinaria sintesi fra questi due dati, una sintesi resa possibile dal Mistero dell’Incarnazione nel quale la Parola si è fatta Carne.

La centralità della Parola nell’Antico Testamento viene analizzata nel primo capitolo, mentre l’importanza dell’Immagine occupa il secondo. Questi primi due capitoli, che fanno da introduzione agli altri temi successivamente esposti, sono quelli più propriamente teologici e sono ricchi di riferimenti scritturistici.

Fra le analisi delle opere prese in esame, abbiamo particolarmente apprezzato quella sull’autoritratto di Albrecht Dürer. Dall’Asta spiega come il pittore tedesco abbia rappresentato se stesso come Figlio di Dio. Apparentemente, ritrarsi in questo modo, potrebbe sembrare blasfemo, ma l’analisi dell’autore ci mostra come invece Dürer abbia colto in profondità l’essenza del cristianesimo: ogni fedele è chiamato a conformarsi a Cristo, a diventare sua immagine. È nel Figlio che diventiamo figli di Dio.

Probabilmente l’autore sente questa immagine molto vicina a sé, visto che è stata anche scelta come copertina del libro.

Quello che colpisce dell’analisi di tutte le opere è la particolare profondità con la quale vengono studiate. Le parole usate dall’autore non servono solo a descrivere le opere in termini formali, ma si spingono a cogliere l’anima di ogni raffigurazione, restituendo ad esse il “valore sacramentale” che ogni opera religiosa possiede e che spesso i critici sottovalutano. L’arte sacra infatti rimanda sempre a un contenuto più alto. Essa è stata realizzata con un fine catechetico e per accendere nel fruitore/fedelela pietà. Ignorare queste dimensioni non fa cogliere appieno queste espressioni artistiche.

Lo stile adoperato è sempre chiaro e lineare, nonostante la profondità dei contenuti. In più passi è possibile scorgere una sensibilità quasi di stile orientale, molto attenta alla dimensione trinitaria e in particolare alla pneumatologia.

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