immigrazioneDi Patrizia Caiffa

Sembrano superati i tempi in cui su giornali e tv si usavano, per parlare degli immigrati, termini irrispettosi come “vu cumprà”. Anche se il linguaggio per certi versi è migliorato e i media si sforzano di fare dei passi in avanti, l’approccio al tema immigrazione non è ancora corretto: si tende a privilegiare i fatti di cronaca nera, permane l’etnicizzazione delle notizie, si parla pochissimo delle donne, se non in termini di vittime, deboli o succubi delle tradizioni e famiglie patriarcali. È il quadro che emerge dal primo rapporto dell’Osservatorio Carta di Roma intitolato “Notizie fuori dal ghetto”, presentato oggi a Roma alla Camera dei deputati. L’associazione Carta di Roma è nata nel dicembre 2011 per dare attuazione all’omonimo protocollo deontologico sui temi dell’immigrazione, siglato nel 2008 dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa italiana. Vi fanno parte, oltre ai firmatari della Carta, numerose associazioni della società civile, tra cui Acli, Comunità di Capodarco, Chiese evangeliche, Centro Astalli, Rete G2, Amnesty international.

Testate nazionali e locali. Il rapporto è stato realizzato da una rete di università italiane membri dell’Osservatorio, che hanno effettuato un monitoraggio sulle prime pagine della stampa quotidiana nazionale, sulle testate locali (che spingono più su questi temi) e sulle tv (Rai e Mediaset). Nel corso del 2012 l’immigrazione è finita in prima pagina 800 volte, 2 notizie al giorno, ma “l’argomento prevalente è stata la cronaca di nera, soprattutto sulle testate locale. Persiste la cattiva abitudine di sottolineare la nazionalità di chi commette il fatto criminoso”, ha spiegato Marinella Belluati, dell’Università di Torino. Quotidiani locali come il “Corriere del Veneto”, il “Giornale di Sicilia”, “Il Messaggero” e il “Resto del Carlino” dedicano il 50% degli articoli sull’immigrazione alla cronaca nera, fino al 60% sulla “Gazzetta del Mezzogiorno”. La nazionalità dell’immigrato viene specificata in prima pagina nel 32% dei casi, il 59% delle volte riferiti a episodi di cronaca nera. Oppure si parla di sbarchi o di questioni religiose, anche se la connotazione del velo islamico, ad esempio, sta assumendo un significato diverso rispetto al passato: le donne che lo indossano non sono più rappresentate come soggetti passivi e sottomessi, ma come giovani che scelgono consapevolmente di portarlo. Trovano, però, molto più spazio le notizie legate a episodi di razzismo: nel 42% dei casi sono episodi di cronaca nera, nel 15% inerenti commenti o affermazioni di forze politiche e nel 13% connessi al mondo del calcio.

Bad news sulle donne. Ma sono le donne, secondo l’indagine, a pagare lo scotto di una assente o cattiva informazione, nonostante su 5 milioni di immigrati siano più del 50% del totale e spesso con ruoli da protagoniste nella società. Solo il 17% delle notizie le riguardano. Nei casi di femminicidio, ad esempio, la stessa situazione viene descritta come “omicidio comune” o “omicidio passionale” quando i protagonisti sono di nazionalità italiana, mentre diventano “omicidi culturali” quando riguardano stranieri. L’analisi della cultura di riferimento diventa la spiegazione del fatto. Un caso esaminato evidenzia, ad esempio, una differenza di stile narrativo in tv: “I tg Mediaset rispetto a quelli Rai hanno uno stile più soggettivo ed emotivo e presentano le notizie con più coinvolgimento e pathos”. Se si parla di lavoro, invece, sembra che tutte le immigrate italiane siano badanti o prostitute. Un altro elemento riscontrato riguarda la stigmatizzazione dell’informazione relativa a Rom e Sinti, ancora definiti “zingari” o “nomadi”, creando pregiudizi nei confronti di un’intera comunità, piuttosto che colpevolizzare solo chi ha commesso il reato.

Good news. Pur essendo presenti tante bad news e immagini stereotipate, ci sono però nuove consapevolezze e tentativi di narrazione da parte dei media. Le prime pagine dei giornali dedicano sempre più attenzione alla tematica dello ius soli, il diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati. Le seconde generazioni trovano anche maggiore spazio all’interno dell’informazione televisiva, come protagonisti attivi delle notizie. “Ci sono tanti elementi positivi – ha confermato Lucia Ghebreghiorges, giornalista, della Rete G2 (seconde generazioni) – ma ancora c’è da lavorare. Il giornalismo tende a raccontare la storia ma non fa emergere il problema reale di chi, ad esempio, vive con il permesso di soggiorno o con la cittadinanza”. Per la scrittrice Ribka Sibathu, “i media sono più consapevoli rispetto a dieci anni ma nel quotidiano la situazione è peggiorata, c’è più razzismo”. Secondo la giornalista de “La Stampa”Francesca Paci, la Carta di Roma e altri codici deontologici hanno permesso di fare dei passi in avanti. Dello stesso parere Paolo Conti, del “Corriere della Sera”, che ha parlato di “un’inversione di tendenza”, anche se “ci sono giornali che compiono sforzi, altri no”. Tra le proposte emerse in sale, quella di “dare più spazio al racconto della normalità”, consigliando ai giornalisti di “trovare il tempo e la volontà di approfondire”. Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma ha concluso: “Si può fare buona informazione sull’immigrazione indipendentemente dalle posizioni politiche”.

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