parlamentoSi riparte con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Il governo rilancia con un decreto. Sulla decisione certamente ha influito la pressione della nuova leadership del Pd e la necessità per le forze politiche di governo di presentarsi alla campagna elettorale per le Europee, ormai già aperta, con qualche realizzazione. Il tutto è immediatamente esecutivo, nonostante debba essere sottoposto al vaglio parlamentare. Dunque si ha una certa garanzia che la lunga attesa dell’opinione pubblica dovrebbe concludersi. Anche se, con i tempi che corrono, tutto è possibile.
Le scelte tecniche si stabilizzeranno dopo la discussione parlamentare: in particolare dobbiamo aspettare 60 giorni per avere la certezza sulla misura dello scivolamento morbido verso il nuovo sistema, che dovrebbe entrare a regime nel 2017. Oltre che sulle modalità del finanziamento indiretto, con i limiti conseguenti. Per cui solo alla fine potremo valutare il costo complessivo del nuovo sistema.
È certo che i partiti servono, che servono partiti democraticamente strutturati, forti, rappresentativi, radicati, ma anche aperti e, dunque, controllabili dai cittadini.
In ogni caso l’accelerazione è un fatto positivo, in un momento politico formalmente di grande stabilità, dopo la rinnovata fiducia al governo Letta, in conseguenza del passaggio all’opposizione di Forza Italia, ma sostanzialmente di continua fibrillazione, che rende accidentati i percorsi e le prospettive.
Nel merito, infatti, il finanziamento pubblico, sotto la speciosa formula del rimborso elettorale, non è che una delle modalità del trasferimento di risorse alle forze politiche. Che forse non è ingentissimo in termini assoluti, ma lo è assai nella percezione dell’italiano medio. E non più tollerabile. Scandali e malversazioni, infatti, sono scoppiati a proposito dell’uso truffaldino delle – eccessive – risorse messe a disposizione, in particolare, dalle Regioni, senza alcun controllo.
E qui bisogna affondare il bisturi. Ma proprio qui è difficile agire, nella grande selva delle autonomie, che nascondono privilegi e rendite di posizione difficili da scalfire perché protetti da una rete normativa intricata e opaca.
Ecco, allora, la contraddizione. Bisogna fare presto, perché la pazienza dell’opinione pubblica è già finita, ma per fare bene occorre avere una visione sistemica. Così si rischia di rimanere in mezzo al guado.
Perché non pochi remano contro. Ovviamente c’è chi intende salvaguardare privilegi o comunque tutelare redditi, rendite e vitalizi, ormai inaccettabili. Ma c’è anche chi ha interesse a invelenire la situazione, per trarre dividendi elettorali dall’indignazione crescente dei cittadini.
È la tipica spirale della decadenza italiana: la coazione a non agire per avvitarsi nelle polemiche intestine. Si tratta di una malattia che periodicamente ci paralizza. Siccome la conosciamo bene, si possono assumere gli anticorpi per sconfiggerla.
Presto.

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