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di Ilaria Nava
La laicità oppure le laicità? La laicità è un traguardo o un processo dinamico? Regge ancora il sistema del Concordato e delle Intese? Di questo e altri temi connessi alla libertà religiosa, si è parlato a Milano nel corso del convegno nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci). Dopo un approfondimento storico sull’idea di tolleranza svolto dal prefetto della biblioteca ambrosiana, monsignor Franco Buzzi, Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa, ha sviscerato i diversi aspetti connessi al tema della laicità.
Lo Stato non “nasce” laico. Dalla Torre ha subito chiarito un presupposto fondamentale, ossia che lo Stato non è naturaliter laico: “La laicità non è elemento strutturale proprio, distintivo e genetico, di ciò che, nel senso più generico ed astorico possibile, chiamiamo Stato”. Una conferma arriva dalla storia: “Gli Stati dell’antichità furono monisti, cioè non ebbero alcuna distinguibilità tra politica e religione”. Un elemento riscontrabile anche nella modernità: “Tra Ottocento e Novecento le ideologie, vere religioni secolari, senza Dio, hanno preteso di vincolare le coscienze alla volontà del Principe di turno”. La laicità non è traguardo che si raggiunge una volta per tutte, bensì “un processo in continuo divenire, una tensione che si manifesta in un certo momento della vicenda umana. Tutto ha origine con quella pretesa, propriamente cristiana, di distinguere il regno di Dio dai regni di questo mondo”.
Il cristianesimo secolarizza la politica. Il messaggio cristiano ha superato l’identificazione tra religione e Stato: “perché Cesare, vale a dire il potere politico, non è il signore assoluto”. A questa impostazione, sono debitrici una serie di concezioni, valori e norme che caratterizzano la moderna democrazia, si pensi alla libertà religiosa, all’obiezione di coscienza, ma anche all’abbandono del giuramento quale strumento del potere politico. “Il principio dualistico cristiano – ha precisato Dalla Torre – ha messo in moto un processo di secolarizzazione della politica, riportando questa nei limiti suoi propri e ponendo un limite invalicabile all’espansione del potere secolare”. Compito della Chiesa, dunque, è il mantenimento di questa dualità, che non può tradursi in commistione tra i poteri, né in una ritirata della Chiesa nella sfera del privato.
Tante laicità. Uno dei maggiori equivoci nell’affrontare il tema della laicità dello Stato, risiede nella convinzione che vi sia solo un modello di laicità dello Stato. La forma di Stato si è progressivamente avvicinata a quella della imparzialità, e “dal punto di vista formale, questo obiettivo è stato ad oggi pressoché raggiunto dai Paesi di tradizione cattolica. Se dal punto di vista normativo solo la Costituzione francese contiene un riferimento esplicito alla laicità dello Stato, dagli altri ordinamenti costituzionali è scomparso il riferimento alla religione di Stato”. Ma nei Paesi cristiani non cattolici non è così: “Molti sono ancora formalmente confessionisti, come ad esempio il Regno Unito”. Tuttavia, dal punto di vista sostanziale negli Stati europei la laicità è stata raggiunta, vedi la immunità dal potere relativamente alle questioni di coscienza, “rivelando che l’esperienza della laicità ha una pluralità di forme”. Oggi, invece, è diffusa la concezione francese che la laicità sia unica. Il rischio è che si traduca in una lesione della libertà religiosa: “Essa viene intesa come un limite esterno alla libertà religiosa, basti pensare, ad esempio, al dibattito relativo all’obbligo per gli ufficiali si Stato civile francesi di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso”.
Il problema delle intese-fotocopia. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente rivalutato il valore di una laicità quale espressione della libertà religiosa mentre in Italia “il disposto di cui al primo comma dell’art. 7 della Costituzione, secondo cui ‘lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani’ costituisce una sorta di ‘provvidenziale’ inserimento nel testo costituzionale degli anticorpi necessari a mantenere sempre vivo il dualismo portatore di libertà” e “ha una portata che ridonda a vantaggio di tutti; fa distinguere lo spazio del pubblico, dove è anche la religione, dallo spazio politico; conduce ad una laicità positiva che distingue ma non separa; evita la confessionalizzazione della politica, così come la politicizzazione della religione”. Per le altre religioni il problema di intese-fotocopia, identiche per tutte le confessioni, ha indotto alcuni a pensare che sia meglio abbandonare il sistema concordatario e pattizio a favore di una legge complessiva sulla libertà religiosa, ma ciò impedirebbe una disciplina differenziata secondo il principio costituzionale di uguaglianza in base al quale si debbono trattare diversamente situazioni diverse. Infine, va ricordato che “la Costituzione non riconosce solo la libertà religiosa personale, ma anche istituzionale, ed è proprio su questo piano che oggi si gioca la libertà religiosa”.

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