indiaAlla fine del mese di ottobre, il Consiglio globale dei cristiani indiani (Gcic) ha diffuso un documento – rilanciato dall’Agenzia Fides – con il quale si denunciavano, solo nello Stato del Karnataka, nell’estremo sud dell’India, 40 attacchi contro i cristiani nel 2013, per un totale di 222 assalti negli ultimi 3 anni. Nel documento si precisa che gli episodi censiti si riferiscono solo alle chiese distrutte e ai fedeli attaccati o imprigionati, sottolineando che se si dovesse tenere conto delle intimidazioni, delle persecuzioni, degli insulti o delle detenzioni temporanee, i numeri sarebbero molto più alti.
Il permissivismo e il mancato controllo delle autorità. Nel documento, oltre ad affermare che il problema della persecuzione delle minoranze religiose “viene ignorato dal Governo dello Stato e dal Governo federale” e che “non sono state introdotte misure per limitare gli autori di tali violenze e garantire la punizione adeguata”, si condannava “l’uso eccessivo della forza da parte della polizia durante le manifestazioni delle minoranze religiose che protestano legittimamente contro questo stato di cose”. Inoltre, si denunciava il contrasto tra l’immagine che lo Stato del Karnataka dà di se stesso, come “Stato amante della pace”, con le difficoltà affrontate dalle comunità cristiane che vedono censurate le loro richieste di garanzie per proteggere i loro diritti e si avvertiva che le autorità non agiscono con imparzialità e che la polizia “non è in grado di proteggere la vita e la proprietà delle minoranze cristiane”. Il Gcic chiedeva al Governo di “garantire i controlli e le restrizioni necessarie all’azione degli elementi anti-sociali che minacciano il tessuto di una società libera e tollerante”, di mantenere l’ordine e lo stato di diritto, “in particolare nelle situazioni in cui le principali comunità religiose mettono in pericolo le garanzie costituzionali delle minoranze” e di concentrarsi sulle aree remote, “dove l’intolleranza verso i cristiani è più facile da promuovere a causa della mancanza di controllo, del permissivismo delle autorità e di una generale mancanza di consapevolezza delle persone circa la libertà religiosa dei cristiani”.
Il pericolo: Narendra Modi al potere. Ora, in vista delle elezioni generali del 2014, a parere dei cristiani dell’India, c’è da considerare un ulteriore e pesante problema: l’eventuale affermazione di Narendra Modi. “Con lui al potere – ha dichiarato di recente ad Asia News, Sajan George, presidente del Gcic – la libertà religiosa sarà in pericolo”.Narendra Modi è un ex militante della Rashtriya Sawayamsevak Sangh (Rss), una delle organizzazioni radicali indù più attive e violente dell’India. Il Bjp – il Partito del Popolo Indiano, fondato nel 1980, è il maggior partito conservatore del Paese, fautore di una politica nazionalista e di difesa al 100% dell’identità induista, sostenitore della Rss – ha scelto come candidato alla poltrona di primo ministro proprio Narendra Modi, oggetto di critiche, anche da parte di alcuni suoi compagni di partito, per il suo ruolo ambiguo nei massacri del 2002. Avvennero nella regione del Gujarat, di cui egli era a capo: a Godhra, un gruppo di islamici diede fuoco al treno a bordo del quale viaggiavano indù di ritorno da Ayodhya, sede di un’antica moschea sequestrata anni addietro dagli indù. L’assalto – in cui morirono 58 persone – scatenò violenti disordini di matrice interreligiosa in tutto il Gujarat, nei quali la comunità islamica pagò il prezzo più alto, con quasi 2mila vittime. Da sempre Modi è accusato di aver cospirato negli scontri, per non aver preso alcun provvedimento per fermarli e non aver istituito alcuna indagine. Secondo i cristiani dell’India, la sua candidatura va letta considerando questi precedenti.

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