Tonino BelloDell’Arcivescovo di Potenza Agostino Superbo

È arrivata al termine la fase diocesana del processo di canonizzazione di don Tonino Bello: del 30 novembre, nella cattedrale di Molfetta, la cerimonia conclusiva con una solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi.
La memoria di don Tonino, dopo la sua morte, non si è mai affievolita nel cuore dei fedeli.
Essi hanno conservato come gemme preziose ogni parola ascoltata e ogni gesto vissuto. Soprattutto hanno tenuto vivo l’insegnamento consegnato dal pastore alla sua Chiesa: “Amate Gesù Cristo”, “amate i poveri”, “amate la povertà”, “siate costruttori di pace”. Ed è sul fondamento di questa testimonianza che in questi anni si sono moltiplicati i Centri Caritas e le Case di accoglienza intitolati alla memoria di don Tonino, sparsi per tutta Italia. E a mano a mano che passa il tempo la sua testimonianza viene conosciuta dai giovani attraverso i suoi scritti, e molti gruppi, soprattutto delle Regioni del Nord, sentono il bisogno di recarsi a Molfetta, nei luoghi dove monsignor Bello è vissuto, per ascoltare la testimonianza di coloro che lo hanno conosciuto.

Un vescovo fatto Vangelo. “Vorrei essere un vescovo fatto popolo, un vescovo elevato alla dignità di popolo”, diceva all’inizio del suo ministero episcopale. Con quelle parole voleva esprimere l’ammirazione per il Popolo di Dio e il desiderio di vicinanza alla gente, come il Buon Pastore che va in cerca della pecora smarrita e come il buon samaritano che si prende cura dell’uomo derubato, percosso e abbandonato, ai margini della strada, in fin di vita. A chi gli poneva domande sugli aspetti della sua preparazione pastorale e culturale rispondeva: “Il Vangelo… gli ultimi”. Il Vangelo lo aveva ricevuto nella sua casa, dalla vita di mamma Maria e poi dalle mani della Chiesa nelle varie tappe della formazione e del ministero. Lo aveva ricevuto anche dalle mani degli ultimi, nei quali Gesù Cristo si rende presente accanto a noi. Aveva subito capito, infatti, che il Vangelo è Gesù Cristo che annuncia la buona notizia ai poveri.

Con gli occhi del Signore. Per questo guardava il mondo, l’umanità, le persone singole e le folle, con gli occhi del Signore, cui lo univa una fede semplice, intima e profonda. Da Lui partiva e a Lui ritornava ogni giorno, anzi, ogni momento. La vicinanza agli uomini, anche nei momenti più difficili, derivava dal sentire vicino l’amico Gesù Cristo. Sono molto significative alcune espressioni del suo diario. “Ho trascorso quest’oggi una delle giornate più brutte della mia vita: mi sento depresso, avvilito, stanco. Signore Gesù, dammi forza. Non mi lasciare solo, amico mio. Stammi vicino, sempre, nel cuore, nell’angolo più riposto e solitario dell’anima. Fammi respirare il tuo respiro, battere col tuo cuore, vivere la tua vita. Teniamoci per mano come due scolaretti che vanno in fila contenti”. Ecco il segreto della sua grande capacità di ascolto, di compassione, di dare un volto splendido a tutti, anche all’operaia svilita da un lavoro senza dignità, all’uomo non riconosciuto perché viene da lontano oppure è vicino ma sfigurato dall’alcool.

Un tramonto “più luminoso dell’alba”. A partire da Gesù Cristo, rivestito “a colori” dalla tenerezza di sua madre Maria, don Tonino poteva dedicarsi con passione evangelizzatrice alla sua diocesi, curare un progetto organico ed essere attento a ogni persona, presbitero o laico, come se fosse l’unica. Egli animava, con la realizzazione di opere efficaci e significative, il calore della carità nella sua diocesi e abbracciava il mondo intero con l’anelito entusiasta per la pace, lottando con forza contro ogni ingiustizia e ogni guerra, con lo stesso amore che viene dal cuore di Cristo. Abbracciato a Lui, alla sua croce, consolato dalla Madre sua, ha trasformato la sofferenza in offerta a Dio gradita e il suo tramonto è stato “più luminoso dell’alba”.
Ricordarlo è un grande dono di Dio per tutti, credenti e non credenti. Tutti lo possono “abbracciare lungamente sentendo di stringere tra le braccia un amico, tenero e umano”, cui dire grazie perché, con le sue parole e con le sue opere, ci ha fatto conoscere il suo Dio, un Dio, direbbe lui, che ama gli uomini fino alla follia, la follia della Croce.

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