Di M. M. Nicolais
REGIONE MARCHE – “Noi vescovi siamo molto grati a questi laici che ci dicono le cose in faccia, con grande rispetto ma senza nascondere le loro attese”. A tributare un omaggio ai laici è stato monsignor Luigi Conti, arcivescovo di Fermo e presidente della Conferenza episcopale delle Marche, a conclusione del secondo Convegno ecclesiale marchigiano, svoltosi tra Ancona e Loreto sul tema: “Alzati e Va’! Vivere e trasmettere la fede oggi nelle Marche”. Tra i 720 partecipanti, in rappresentanza delle 13 diocesi delle Marche, i laici erano la componente più numerosa: tra di loro, molti i volti giovani, che hanno dato ai lavori un contributo concreto, sanamente provocatorio e creativo.
È sicuramente a loro che si abbina meglio uno dei termini che sono ricorsi più frequentemente nel convegno: “speranza”. “Ascolto, accoglienza, corresponsabilità, ministerialità”, le altre parole-chiave risuonate ad Ancona e Loreto.
Tra le proposte emerse dai laboratori: riformulare il tema del Convegno in “Alzati, clicca e va”.
Il riferimento è al mondo digitale, ma reinventato in puro stile cattolico: “Il clic è propedeutico all’incontro – ha precisato mons. Conti – ma guai a noi se rendessimo freddo il rapporto e l’incontro con l’altro attraverso il web: noi vogliamo riscaldare anche la rete”.
L’idea di Chiesa, qui nelle Marche, è quella dell’”ospedale da campo” tanto caro a Papa Francesco: In tempi di crisi “la carità è urgente”, ha detto monsignor Conti prendendo a prestito questa immagine: “Se cominciamo a fare i calcoli, non è più carità”. Interrogato dai giornalisti su una possibile visita del Papa a Loreto, monsignor Conti ha risposto: “Non abbiamo notizie certe, la speranza è che possa venire”. Tra le ferite più urgenti da curare, quelle delle famiglie in difficoltà: il laboratorio relativo a questo tema è stato il più frequentato, con 133 partecipanti.
A fianco dei giovani con il Progetto Policoro. “Allargare lo spettro” di azione del Progetto Policoro, voluto dalla Cei per offrire ai giovani opportunità di lavoro. Sarà questo uno dei “segni” del secondo Convegno ecclesiale marchigiano. Ad annunciarlo è stato monsignor Claudio Giuliodori, amministratore apostolico di Macerata e coordinatore del Comitato preparatorio, soffermandosi sul “grosso salto di qualità” fatto dalle Chiese delle Marche in questi 20 anni che ci separano dal primo Convegno ecclesiale marchigiano. L’obiettivo è quello di “non disperdere questo patrimonio”, rendendo il Comitato un “soggetto permanente” di consultazione, anche grazie al contributo del Tavolo di pastorale integrata e del Centro Giovanni Paolo II di Montorso.
Catecumenato degli adulti e “solidarietà”. Predisporre un servizio per il catecumenato degli adulti: è stata una delle proposte dei laboratori sulla catechesi, in cui si è affrontato anche il tema dell’identikit del catechista, di cui occorre aggiornare il “profilo delle competenze”. La crisi, come ha sottolineato anche mons. Conti, ha rivelato inoltre lo “spirito profondo” della gente delle Marche, che “è lo stesso che aveva trenta, quaranta, cinquant’anni fa, prima di scivolare dalle montagne verso il litorale per esigenze di lavoro. Oggi, molte famiglie stanno rientrando verso la media collina o la montagna per riabbracciare la terra da cui sono scappati”.
Accogliere le famiglie in difficoltà. Sulle famiglie in difficoltà, “i cattolici mostrano di avere diverse anime”, più preoccupate del “fare” che dello “stare” accanto ad esse. A denunciarlo è stata Graziella Mercuri, coordinatrice del relativo ambito. “Bisogna accompagnare le persone la cui vita è attraversata da queste situazioni – la proposta – con percorsi transitori che sanano e restituiscono la persona alla comunità. Come persona, e non come separato, divorziato, risposato…”. Altro rapporto da rivedere, quello tra “centro” e “periferia”: “La periferia esistenziale è dentro e fuori di noi”, ha denunciato Graziella: “siamo spesso noi a creare le periferie di cui poi parliamo. Anche i nostri linguaggi violenti creano periferie poi difficili da superare”.
Verso Firenze. “Smettere di fare calcoli e tornare a fare Eucarestia”. Con questa frase, contenuta nella Lettera-invito, Adriano Fabris, ordinario di Filosofia morale all’Università di Pisa, ha sintetizzato il legame tra il Cem e il Convegno ecclesiale nazionale, in programma a Firenze nel 2015. “La questione antropologica deve essere collegata alla questione della verità”, ha detto il relatore: animati da “una fede rinnovata”, siamo chiamati a contrastare quelle “concezioni riduttive, unilaterali, sbagliate di ciò che siamo, possiamo e dobbiamo essere”. Tra queste, “l’idea per cui donne e uomini sono anzitutto individui, tendenzialmente isolati, dediti a coltivare i propri interessi, e solo se a loro conviene sono disposti a formare una comunità”. O la convinzione che “uomini e donne ubbidiscano in primo luogo ai propri interessi, al comandamento dell’utile, e per ottenere un vantaggio sono disposti a tutto”. Infine, la concezione per cui “l’umanità dell’uomo si identifica con le funzioni del suo corpo, che il corpo è fatto di parti tra loro interscambiabili, quasi fosse una macchina, e che perciò può venir manipolato a piacimento”.
Vedi anche:

– La lettera dei 48 delegati ai fedeli di tutta la Diocesi

– Dalle Marche l’invito: le nostre comunità diffondano il calore– La testimonianza di Claudia e Maurizio

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