MammaDi Giovanni Pasqualin Traversa
Sensibilizzazione, denuncia, contrasto: tre parole che riassumono gli obiettivi del neonato Comitato “Di mamma ce n’è una sola” (unasolamamma@hotmail.com), sorto contro il mercato dell’ “utero in affitto” e presentato in questi giorni a Roma, alla Camera dei deputati, insieme al manifesto elaborato per l’occasione. Un fenomeno in espansione in tutto il mondo, quello della maternità per conto terzi. Secondo gli esperti, un giro di almeno 2 miliardi di dollari l’anno sulla pelle di donne che, spesso povere e analfabete, affrontano gravidanza e parto a pagamento per poi cedere il neonato al committente. Una pratica formalmente illegale in molti Paesi – tra cui l’Italia – ma contro la quale occorre “attrezzarsi” perché si tratta di divieti facilmente aggirabili, soprattutto in assenza di normative. Il Sir ne ha parlato con la presidente del Comitato, Eugenia Roccella, che è anche vicepresidente della commissione Affari sociali della Camera, e con uno dei componenti, il saggista Francesco Agnoli.
Precedente che inquieta. Secondo Roccella il cammino da percorrere è a livello transnazionale: “Occorre – ci spiega – armonizzare le normative. Mancano leggi e regolamenti fra paesi e continenti, si producono contenziosi giuridici ed è molto complicato, in alcuni casi impossibile, ‘tracciare’ il frammentato percorso tra uno Stato e l’altro di committenti, madri in affitto, fornitori di gameti, cliniche”. Con il risultato di “madri in affitto che all’ultimo momento non vogliono separarsi dal figlio, o addirittura di bambini apolidi”. “In Italia – prosegue – abbiamo già avuto una sentenza che qualche anno fa ha sostanzialmente legittimato la pratica effettuata in Gran Bretagna da una cittadina italiana coniugata con un inglese, attraverso il cosiddetto ‘Parental Order’. La sentenza ha di fatto riconosciuto l’atto giuridico di ‘cessione’ del figlio dalla madre biologica alla cosiddetta madre ‘sociale’, in Italia non legale, con la motivazione dell’interesse superiore del bambino”. Un precedente “che non può non far preoccupare, avverte la presidente del Comitato, secondo la quale “è urgente muoversi perché non è detto che per legittimare questo tipo di ‘contratti’ si passi necessariamente dal nostro Parlamento”.
Manifesto e cooperazione transfrontaliera. Quali, allora, i primi passi e la strategia da seguire? “È in programma – risponde Roccella – l’apertura di una pagina Facebook su cui metteremo il manifesto che abbiamo elaborato e che tenteremo di far anzitutto sottoscrivere al maggior numero possibile di parlamentari, deputati e senatori di tutti gli schieramenti ai quali chiediamo di impegnarsi trasversalmente per questa causa che non ha colori politici. Al tempo stesso tenteremo di coinvolgere come testimonial donne impegnate nel mondo della cultura e dello spettacolo. Abbiamo già iniziato a prendere contatto con gruppi e associazioni all’estero – anche culturalmente e ideologicamente lontani da noi – già attivi contro la mercificazione del corpo della donna. Non si può separare la donna dal proprio figlio: solo la donna incinta è la madre del figlio che porta in grembo. Il senso del materno parte da qui: che futuro può avere una società che lo nega?”.
Un abuso, non un diritto. Per Francesco Agnoli il problema “sembra lontano, ma non lo è”. Per questo è urgente contrastare “qualsiasi tentativo di legalizzare anche in Italia questa pratica” giacché è forte “il rischio di far ‘passare’ questo abuso come fatto culturalmente e socialmente accettabile se non addirittura necessario, spacciando ancora una volta come presunto diritto quello che è in realtà il diritto del più forte”. Non usa mezzi termini Agnoli e parla di “violenza” e sfruttamento delle donne, soprattutto dei Paesi più poveri, in primis l’India, da parte di “speculatori senza scrupoli” che riducono la donna a “mero contenitore di un figlio destinato ad altri”. “Tutelare la libertà di ogni donna di portare avanti la gravidanza e tenere con sé il bambino partorito, come diritto naturale e fondamentale che precede qualunque legge e qualunque contratto” è uno dei punti del manifesto attraverso il quale il Comitato si prefigge inoltre di “svolgere un’opera di sensibilizzazione” per mettere a conoscenza l’opinione pubblica “della posta in gioco”, “avviare tutte le opportune iniziative culturali e politiche per contrastare qualsiasi tentativo di legalizzare anche in Italia la pratica dell’utero in affitto” e “denunciare e contrastare tale attività nei Paesi dove il mercato della maternità su committenza è legale e già affermato”.

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