giovaniDi Nicola Salvagnin
Un milione settecentomila posti di lavoro. Tanti sono quelli bruciati da questi cinque-sei anni di crisi economica in Italia. Molte decine di aziende come la Fiat che chiudono i battenti, anche se la morìa di posti ha imperversato soprattutto nelle medio-piccole aziende. Quasi tutte, comunque, hanno seguito una cura “dimagrante” nel personale; pochissime hanno assunto, soprattutto qui in Italia.
È questa la dimensione del disastro occupazionale che colpisce soprattutto le fasce più giovani della popolazione; un disastro aggravato dagli effetti della riforma delle pensioni ideata dall’ex ministro Elsa Fornero, che ha allungato di molti anni la soglia dell’età pensionabile. Aggiungiamoci il settimo anno consecutivo di blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, e soprattutto l’utilizzo distorto della fu “legge Biagi” come strumento non per far crescere le opportunità lavorative, ma per dequalificare economicamente soprattutto i giovani lavoratori, e la situazione da drammatica rischia di diventare esplosiva.
Non c’è ribellione solo perché non si saprebbe nemmeno contro chi ribellarsi; c’è invece tanta rassegnazione, una gigantesca perdita di senso per intere generazioni, una voglia di fuga, di andarsene verso lidi più accoglienti che sta nuovamente trasformando l’Italia in un Paese di emigranti.
In un simile panorama provocano la nauseale polemicuzze politiche sul che fare, in particolare sull’efficacia del cosiddetto bonus giovani ideato dal governo, che avrebbe agevolato l’assunzione di “soli” 14mila ragazzi. I polemisti del “so io come si fa”, da noi non mancano mai. Soprattutto quando non devono essere messi di fronte alla responsabilità pratica delle loro idee. È evidente che un simile bonus non cambierà molto la situazione e che la ripresa non verrà spinta dagli sgravi fiscali, come sostiene lo stesso ministro. Le assunzioni arrivano dopo la ripresa economica, non prima. Se non c’è lavoro, se non ci sono ordini, se il mercato interno è in continuo calo, difficilmente si invertirà il trend. Certo che le 100mila assunzioni che il bonus – come sostiene il ministro del lavoro Giovannini – porterà da qui al 2015, ce le teniamo strette e care.
Piuttosto sarebbe da chiedere conto di cosa abbiano fatto in questi mesi i grandi polemisti della politica italiana – le star dei salotti televisivi, i demagoghi internettiani – per cambiare questo Paese che è ogni giorno di più ostile all’intraprendere, all’investire e quindi all’assumere. Perché, per dire, le case automobilistiche nippo-coreane investono in Gran Bretagna, in Ungheria, nella Repubblica Ceca, in Spagna… ovunque meno che in Italia? Perché la nostra giustizia civile è e continua ad essere tutto meno che giustizia? Perché non si affrontano i nodi della spesa pubblica, la qualità della sua azione, il suo ammodernamento rifugiandosi in commissioni e authority che “studino la revisione della spesa pubblica”? Perché si sollecitano gli italiani a segnalare sprechi, disservizi e possibili migliorìe (90mila mail pervenute), e poi si butta tutto nel cestino? Perché non si mette mano con serietà ad un “federalismo” che ha portato solo alla moltiplicazione di spese e sprechi?
Ma chi devono farle queste cose, i giovani che campano (no, non campano) con poche centinaia di euro al mese o i grandi condottieri che stanno portando l’Italia – unico Paese in Occidente – dritta verso il settimo anno consecutivo di recessione? Quegli stessi Soloni che, statene certi, se e quando esploderà la ribellione sociale – e Dio non voglia – saranno i più lesti a cavalcare e a fomentare i malumori.
Abbiamo bisogno di gente che si rimbocchi le maniche e lavori duro per costruire un futuro che sembra non esserci più per i nostri figli; i tromboni, licenziamoli pure. Per giusta causa.

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