L'Ancora (61) - 13 - Roberto Mori - Le nostre Famiglie da Papa Francesco
Di Fabio Zavattaro
Due uomini, la preghiera. Il Vangelo di questa domenica mette ancora in primo piano il tema della preghiera, tema molto caro a Luca.
Ma a ben guardare il testo e la parabola di Gesù sono un riferimento esplicito alle scelte che siamo chiamati a compiere nel nostro pellegrinaggio terreno. Siamo più come il figliol prodigo che chiede perdono, o come il fratello maggiore che non sa accettare la scelta del padre di far festa.
Questa domenica siamo a confrontarci con il pubblicano e il fariseo, i due uomini che salirono al tempio per pregare.
Due modelli di preghiera e una domanda profonda: quale immagine di Dio nel nostro pregare. Tema caro a Francesco, la preghiera. Lo abbiamo visto fin dal suo primo giorno di pontificato, quando, affacciandosi dalla loggia centrale della basilica vaticana, ha chiesto ai fedeli proprio il silenzio della preghiera personale. Così con le famiglie, sabato pomeriggio, prima la richiesta ai bambini se sapevano farsi il segno della croce. Poi l’Ave Maria e il Padre nostro, recitate al termine della serata.
Dopo aver riflettuto sulla preghiera nel tempo di attesa, in questa giornata conclusiva del pellegrinaggio delle famiglie, Papa Francesco ci fa riflettere su questi due uomini che compaiono nella parabola, sue due modelli diversi di preghiera. Il fariseo “si sente giusto, a posto, giudica gli altri dall’alto del suo piedistallo”. È un separato dagli altri e lo ribadisce anche nella sua preghiera: “Signore ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini”. Il fariseo appartiene a un partito religioso che, al tempo di Gesù, proponeva il rispetto minuzioso della legge, della Torah; anzi molto spesso essi andavano oltre ciò che era richiesto dai precetti. Il pubblicano è invece un peccatore, rimane in fondo al tempio e non osa alzare gli occhi al cielo perché non si sente degno. La sua preghiera è una richiesta di perdono, un affidarsi alla misericordia di Dio.
Ecco la differenza tra i due: il fariseo prega come se Dio non ci fosse, è una preghiera incentrata sulla sua persona: ti ringrazio perché non sono come gli altri. Il pubblicano invece si affida al Signore, nella pochezza della sua persona; sa di essere un peccatore e la sua è la preghiera del povero che attraversa le nubi, come si legge nel Siracide. Quella del fariseo, ricorda Papa Francesco “è appesantita dalla zavorra della vanità”. Per questo la sua preghiera non è ascoltata e accolta da Dio.
Parole che il Papa affida alle famiglie, evidenziandone tre caratteristiche fondamentali: la famiglia che prega, la famiglia che custodisce la fede, la famiglia che vive la gioia. La famiglia che Papa Francesco ha in mente è lievito per la società, che prega come il pubblicano, senza ipocrisia e superbia; preghiera “umile, sobria, pervasa dalla consapevolezza della propria indegnità, delle proprie miserie”. Famiglie che custodiscono la fede come San Paolo “non in una cassaforte” nemmeno “nascosta sottoterra come quel servo pigro”. San Paolo parla della sua vita come di una battaglia, una corsa: “ha conservato la fede perché non si è limitato a difenderla, ma l’ha annunciata, irradiata, l’ha portata lontano”. Si è opposto a chi voleva “imbalsamare” il messaggio di Cristo, ha fatto “scelte coraggiose”, si è “lasciato provocare dai lontani”. Ha conservato la fede perché “come l’aveva ricevuta, l’ha donata, spingendosi nelle periferie”.
Ed ecco che torna il Papa che parla al cristiano e dice di spingersi alle periferie dell’esistenza, per cercare l’uomo che soffre, che spera; l’uomo emarginato, abbandonato. È li che il cristiano diventa lievito, accogliendo, aprendosi all’altro. Belle le testimonianze ascoltate in piazza San Pietro, la famiglia siriana fuggita dal conflitto che insanguina il paese; la coppia di Lampedusa che quotidianamente apre la porta di casa a quanti hanno attraversato il mare nei barconi rischiando la vita, per dare loro un po’ di calore, del cibo, una doccia. Piccoli segni di una condivisione che rendono concreta la preghiera del credente. Ed ecco la gioia che si vive in famiglia, che viene non dalle cose, “ma da una armonia profonda tra le persone, che tutti sentono nel cuore, e ci fa sentire la bellezza di essere insieme, di sostenerci a vicenda nel cammino della vita”.

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