PapaLe tragedie degli immigrati nel Mediterraneo, un mare che fino a prova contraria è europeo, continuano a interrogare la cultura, la società e la politica dell’Ue e dei 28 Paesi membri. La domanda si è fatta fortissima dal 3 ottobre scorso, quando, nel “mare della morte”, sono annegati quasi 400 immigrati di fronte all’isola di Lampedusa.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha calcolato che circa 7.800 immigrati e richiedenti asilo hanno raggiunto le coste italiane nei soli primi sei mesi del 2013. Ma secondo l’Ufficio internazionale delle migrazioni, dal 1993 a oggi nel Mediterraneo hanno perso la vita più di 25mila persone. Spagna, Malta, Cipro, Grecia, Croazia, Italia: quasi tutta l’Europa meridionale viene raggiunta da imbarcazioni cariche di uomini, donne e bambini che scappano da Paesi ridotti alla fame, in preda a conflitti o sottoposti a violazione dei diritti umani. Il resto del vecchio continente sembra ancora distante dall’immane tragedia e l’Unione europea, almeno per ora, non riesce a offrire risposte risolutive.
“Mi viene solo la parola vergogna, è una vergogna”: queste le parole di Papa Francesco nell’apprendere la notizia del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre. Poco tempo prima, l’8 luglio, il Papa – arrivato per sua ferma volontà sull’isola – aveva celebrato la messa su uno dei barconi della speranza diventati presto barconi della disperazione. Bussando alla coscienza del mondo, a quella dei cittadini europei e delle istituzioni nazionali ed europee, Papa Francesco aveva levato il suo monito contro quella “globalizzazione dell’indifferenza” che coinvolge anche l’Europa.
Indifferenza di fronte ai volti di coloro che vivono in Paesi poveri e di coloro che cercano migliori condizioni di vita nelle società sviluppate.
Indifferenza di fronte ai volti di coloro che hanno trovato la morte nel tentativo di raggiungere le coste europee.
Indifferenza di fronte ai molti altri volti delle persone che fuggite dalle guerre, dalla fame, dalla miseria o dallo sfruttamento si sono visti traditi da quanti, anche nel vecchio continente, si proclamano fratelli di tutti gli uomini, soprattutto di quelli più poveri.
È nel materialismo, ha detto il Pontefice, la radice dell’indifferenza. E ha denunciato quella “cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza”.
Come può l’Unione europea non sentirsi chiamata in causa proprio sul suo fondamento che è la solidarietà? Come può non rendersi conto che se questo fondamento cede sotto il peso dell’indifferenza crolla anche la “casa comune”? Come può il Nord dell’Europa sottrarsi a una responsabilità comune di fronte alla tragedia che avviene in un mare europeo del Sud?
Potrebbe sembrare un appello fuori luogo, ma tocca soprattutto ai cittadini europei, alla pubblica opinione europea svegliare e sorreggere le istituzioni nazionali e comunitarie perché alle domande angosciate che vengono dal Mediterraneo si diano risposte di speranza e di giustizia.
A questo obiettivo continua a offrire il suo contributo specifico la Chiesa. “Noi, come Chiesa – ha detto Papa Francesco – ricordiamo che curando le ferite dei rifugiati, degli sfollati e delle vittime dei traffici mettiamo in pratica il comandamento della carità che Gesù ci ha lasciato, quando si è identificato con lo straniero, con chi soffre, con tutte le vittime innocenti di violenze e sfruttamento. Le nostre Comunità cristiane siano veramente luoghi di accoglienza, di ascolto, di comunione!”.
Si tratta di diffondere sempre più quella cultura dell’accoglienza che in modo esemplare viene vissuta da molte persone, organizzazioni cristiane, umanitarie e dagli stessi abitanti di Lampedusa. Si tratta di una nuova versione delle antiche opere di misericordia che concorrono a dare più spessore umano e spirituale alla solidarietà e ne fanno una parola e un impegno comprensibili a chi crede e a chi non crede. Così si può rompere la crosta dell’indifferenza dei benestanti che rende vecchio questo nostro continente e così si può chiedere alla politica di cambiare il passo perché l’Europa possa ancora scrivere pagine di speranza per se stessa e per chi, percosso e umiliato, bussa alla sua porta.

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