Incensazione San Benedetto Martire

SAN BENEDETTO MARTIRE – Pubblichiamo le parole di Sua Eccellenza Mons. Gervasio Gestori in occasione della Festa del Santo Patrono di San Benedetto del Tronto.

Vescovo Gervasio Gestori: “In occasione della festa del nostro Patrono, S. Benedetto martire, di cui custodiamo le reliquie in questa chiesa, vorrei offrire qualche veloce riflessione, per il bene maggiore della nostra vita. Mi chiedo che cosa faccia grande una città e che cosa possa qualificare la nostra, che si onora di portare il nome di questo santo.

Riconosciamo che la nostra storia è molto diversa da quella di tante altre città delle Marche: queste hanno un passato ricco di eventi, di cultura, di arte, e possono attrarre tante persone ed affascinare per le loro piazze, le chiese, i campanili, le opere d’arte dei loro musei. Possiamo provare una qualche piccola invidia. Ma il passato non basta per donare grandezza autorevole e duratura ad una città, La storia dimostra che non pochi capoluoghi, una volta famosi, hanno subito poi decadenze improvvise, finendo nel dimenticatoio di una fragile memoria. Le sole dimensioni esteriori restano fragili e facilmente si deteriorano, quando non sono accompagnate dalla crescita culturale delle persone.

Noi possiamo avere soprattutto un futuro, che va pensato realisticamente alla grande e costruito con il contributo di tutti. La nostra giovane città può già vantare tante cose: il clima ideale per una vita sana, un lungomare affascinante per turisti e villeggianti, una tradizione di apprezzati lavoratori del mare, ed altro ancora. Negli ultimi decenni si è dotata di tanti istituti scolastici anche di livello universitario ed è diventata sede vescovile, con una sua cattedrale. Ma questo non basta per qualificare una città, se manca una vasta presa di coscienza e se non si colgono le conseguenze, che ne derivano, specialmente a livello di pensiero, di relazioni, di stili di vita.

Per avere un grande futuro il fascino di un territorio domanda persone che abbiano uno sguardo positivo e luminoso sul presente e sappiano coraggiosamente prospettare il domani. Occorrono persone, che non siano schiacciate sull’attualità, che non si fermino alla dimensione materiale della vita e che non ricerchino soprattutto l’effimero. Non dimentichiamo che la fine di alcuni grandi imperi è stata accelerata dalla ricerca del panem et circenses e da un vuoto di ideali.

Noi cittadini dobbiamo coltivare un’anima carica di spiritualità e avere presenti valori non ingannevoli. Papa Francesco ha scritto nella sua enciclica Lumen fidei che è male “il tempo trasformato in spazio”, cioè è male la cristallizzazione del divenire nelle cose. Il vuoto di spiritualità ruba la speranza, il materialismo ed il consumismo non danno futuro umano. Il presente non va idolatrato, mentre occorre guardare oltre, pensare all’avvenire, per dare un senso costruttivo alla vita.

L’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, parla di una nuova Gerusalemme, di cieli nuovi e terra nuova, nei quali fiorirà la giustizia e ci sarà pace. Tutto questo riguarda non solo il futuro dell’altro mondo. I salmi ci invitano a pensare al presente, dove è già possibile costruire una convivenza di giustizia e di pace, dove tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, a condizione che le persone coltivino valori e si affidino al Signore.

Il salmo 126 afferma che rischiamo di stancarci invano senza ottenere risultati:

Se il Signore non costruisce la casa,/ invano faticano i costruttori.

Se il Signore non custodisce la città, / invano veglia il custode.

Invano vi alzate di buon mattino, / tardi andate a riposare.

E’ bello allora sognare una città concorde, pacifica, unita; è giusto operare perché essa sia ordinata, pulita, rispettata; è doveroso per tutti lavorare perché si dia speranza ai giovani e si metta al primo posto il bene comune, pensato come volontà di superare visioni ristrette e particolaristiche, per sentirsi un popolo vivo e non un insieme di individui indifferenti e contrapposti.

Sono le persone che costruiscono le strutture valide, sono esse che danno civiltà alla convivenza, è lo stile delle relazioni che fanno quella nobiltà, presente anche in tante persone semplici ma ricche di buon senso.

Tutti noi, nella diversità delle responsabilità, siamo chiamati a dare il nostro contributo per rendere grande la nostra città. Diciamo no alla cultura del disinteresse e dell’individualismo, estirpiamo la cultura dello scarto e dello sperpero, collaboriamo per combattere con una speranza vera le malattie della depressione e della disperazione. Le sole lamentele sono comode, ma inconcludenti e non costruiscono. Tocca a noi dare anche un futuro ai giovani.

E quindi, in positivo, come soggetti di questa città costruiamo la cultura del darci da fare nonostante le difficoltà, diffondiamo la mentalità della collaborazione e della sobrietà, prestiamo attenzione agli ultimi con l’umiltà di servirli, viviamo i doveri accanto ai diritti. La città ci appartiene, è nostra, di ciascuno.

Quante risorse abbiamo nella nostra città: esperienze lavorative generose, ricche tradizioni familiari, valori umani e cristiani poco chiacchierati e ampiamente vissuti. La scuola punti ad un livello alto, dove tutti possano e debbano dare il meglio di sé, fin da piccoli, per avere una società senza troppi soggetti passivi, che chiedono soltanto assistenza. Custodiamo il giusto orgoglio di poter donare agli altri il meglio di noi stessi. Ci occorre una sana dignità, che non è superbia vuota, ma profondo senso della propria coscienza e della personale responsabilità.

Non è utopia questa, non è fantasia, non resti un sogno. Insieme possiamo realizzare questo per la nostra amata città di S. Benedetto. Insieme, e quindi occorre abbattere eventuali particolarismi e divisioni ideologiche inconcludenti, per tessere un dialogo costruttivo nel rispetto della varietà del pensiero di ciascuno e della diversità delle generazioni.

Occorre pensare alla grande e fidarci del Signore. Non ci lasciamo rubare la speranza, anche perché nessuno ce la può rubare: né le circostanze, né gli altri, se la speranza è una nostra virtù, una nostra convinzione, che si nutre di fede e che vive di coraggio. Guardando ai suoi tempi S. Agostino diceva che occorrevano sdegno per il presente e coraggio per il futuro. Sì, può essere un buon messaggio anche per noi: guai a fermarsi allo sdegno sulle realtà del presente che non vanno bene, mentre ci viene richiesto il coraggio per il futuro perché sia migliore.

Il nostro Patrono ebbe coraggio nell’affrontare il martirio. Ci assista dall’alto perché possiamo vivere meglio il nostro presente. Raccogliamo tutti questo mandato che ci arriva nella festa annuale di San Benedetto”.

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