AngelusMaria creatura umile e debole come noi. Papa Francesco celebra in piazza San Pietro nella giornata mariana. C’è l’immagine della Madonna di Fatima. Sono passati sette mesi da quel 13 marzo quando il cardinale Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa Francesco. Omelia nel nome di Maria, per riflettere su tre realtà: Dio ci sorprende, ci chiede fedeltà, ed è la nostra forza.
“Dio ci sorprende; è proprio nella povertà, nella debolezza, nell’umiltà che si manifesta e ci dona il suo amore che ci salva, ci guarisce e ci da forza. Chiede solo che seguiamo la sua parola”. È l’esperienza di Maria che di fronte all’annuncio dell’angelo si fida della parola e del Signore. Così i dieci lebbrosi del brano di Luca, dieci “morti viventi” cui era impedito di entrare nei villaggi; chiedono misericordia a Gesù. Si fidano, i dieci, della parola del Signore che dice loro di rispettare la legge e di andare dai sacerdoti perché verificassero lo stato della loro malattia ed eventualmente li reinserissero nella comunità. Ma c’è un comportamento diverso tra loro: lungo il cammino si rendono conto di essere guariti, e uno, uno solo torna indietro per ringraziare; un samaritano, cioè, in un certo senso, un eretico per il giudaismo del tempo.
Se è vero che Dio “ci sorprende sempre, rompe i nostri schemi, mette in crisi i nostri progetti”, ciò che ci chiede è di non avere paura, di seguirlo; di non chiuderci nelle nostre sicurezze, nei nostri progetti, ma aprirci a lui. Ai dieci lebbrosi Gesù non chiede cose straordinarie; la novità non è nelle pratiche, nelle norme, ma nell’incontro con lui.
Ecco la fedeltà nel seguirlo. Quante volte, dice il vescovo di Roma, “ci siamo entusiasmati per qualcosa, per qualche iniziativa, per qualche impegno, ma poi, di fronte ai primi problemi, abbiamo gettato la spugna”. E questo avviene anche nelle scelte fondamentali, come quella del matrimonio. Il modello da imitare è Maria che ha ripetuto il suo sì ogni giorno, anche sotto la croce, durante l’agonia e la morte del figlio: “La donna fedele, in piedi, distrutta dentro, ma fedele e forte”.
Si domanda Papa Francesco: “Sono un cristiano ‘a singhiozzo’, o sono un cristiano sempre? La cultura del provvisorio, del relativo entra anche nel vivere la fede. Dio ci chiede di essergli fedeli, ogni giorno, nelle azioni quotidiane”. Il Signore non si stanca di tenderci la mano per risollevarci, “incoraggiarci a riprendere il cammino, di ritornare a lui e dirgli la nostra debolezza perché ci doni la sua forza”.
Dei dieci lebbrosi del Vangelo, uno solo torna indietro per lodare Dio a gran voce, ringraziarlo, e riconoscere così che lui è la nostra forza. Torna colui che è escluso non solo a causa della malattia, ma anche per la sua origine. Luca sembra quasi dirci che gli altri nove malati forse ritenevano fosse un loro diritto la guarigione. Chi non aveva alcun diritto, privilegio, sa cogliere la gratuità dell’intervento di Dio. E riconosce nell’incontro un dono più grande che richiede la capacità di riconoscerlo, di viverlo nella fedeltà.
Ecco la terza realtà che il Papa mette in evidenza nella sua omelia: Dio è la nostra forza. “Saper ringraziare, saper lodare per quanto il Signore fa per noi”. Nella celebrazione che vede al centro Maria presente nell’immagine di Fatima, Francesco, con le parole pronunciate da Giovanni Paolo II il 13 maggio 1982, cioè l’anno successivo all’attentato di piazza San Pietro, affida alla Madonna “l’umanità afflitta dal male e ferita dal peccato”. Lei ci dice che il “cammino definitivo è sempre con il Signore, anche con le nostre debolezze”. Tutto è suo dono.
Poi con parole che attinge dalla saggezza popolare, Francesco lascia alle famiglie una piccola ricetta per la convivenza: permesso, scusa e grazie. E dice: “Se in una famiglia si dicono queste tre parole, la famiglia va avanti”. Quante volte, afferma, “diciamo grazie in famiglia? Quante volte diciamo grazie a chi ci aiuta, ci è vicino, ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. È facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma andare a ringraziarlo: mah, non mi viene”.

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