VerdiDi Vincenzo Rini
Giuseppe Verdi: arcitaliano o rozzo provinciale? Ai posteri l’ardua sentenza. Solo che i posteri siamo noi che oggi, 10 ottobre 2013, celebriamo i duecento anni dalla sua nascita, avvenuta in uno sperduto paesino della Valpadana, in quello che era, allora, il piccolo Ducato di Parma e Piacenza, dopo avere celebrato tredici anni fa i cent’anni dalla sua morte avvenuta, nel Regno d’Italia definitivamente costituito, in quella che molti considerano la “capitale morale” del nostro Paese. Ma la sentenza è già stata data dalla storia, mentre a noi spetta solamente una riflessione sulla vita di un uomo che con la sua musica ha portato alto il nome d’Italia nel mondo intero, senza mai dimenticare le sue radici contadine, la sua terra, a cui era prepotentemente attaccato.
La sua vita lo ha portato ad essere il cantore dell’Italia: delle sue opere il Cigno di Busseto non si serve mai per fare esplicita propaganda risorgimentale; in esse invece è magnificata sempre l’italianità della sua cultura, del suo pensiero, del suo far musica. La sua è un’italianità che emerge come respiro che non fa rumore, ma che pervade la vita. Per questo è stata riconosciuta dagli italiani che canticchiavano per le strade il suo “Va’ pensiero”, come dalle autorità austriache che vedevano in quel canto, in quella musica, un pericolo per il loro dominio.
Ma lo stesso Verdi che respirava italiano non dimenticò mai il legame con la sua piccola patria, le sue radici familiari nella civiltà contadina; volle possedere una grande azienda agricola a Sant’Agata, a due passi da Roncole di Busseto dove era nato, a cui dedicò grande impegno, non inferiore a quello profuso nella creazione delle grandi opere.
Nella mia città, Cremona, le cronache ricordano la sua venuta da Sant’Agata, su un calesse da lui personalmente guidato, ogni settimana per il mercato, dove trattava compravendite per le sue aziende e le stalle. Come la sua presenza a due passi dal Duomo, in via Solferino e nelle osterie, dove, mentre si beveva qualche bicchiere di buon vino e si assaggiava un saporoso piatto di trippa, si parlava di vacche, ma non di musica.
Ecco, a mio parere il Verdi “arcitaliano”: il grande musicista che porta il nome della patria nel mondo intero, che ama l’Italia e desidera la sua unità nazionale senza fare guerre, ma anzitutto cultura e musica, ma che, allo stesso tempo non dimentica la piccola patria, il paesetto in cui è nato, impegnandosi a farlo vivere e trovando in esso la sostanza di rapporti umani diretti e immediati. Che usa la mente per comporre musiche eterne e universali e, subito dopo, impegna le mani nel saggiare la salute del grano dei suoi campi e il colore del latte delle sue stalle. Contribuendo così a ricordare che la patria è una e indivisibile, ma fatta dai mille colori e dalle infinite bellezze e ricchezze di ogni territorio, di ogni paese e di ogni città.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *