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Di Paolo Bustaffa

L’eco del rumore delle armi sul campo di un’aspra battaglia politica arriva nitido nei luoghi dove la gente vive, giorno per giorno, l’incrociarsi della sofferenza e della fatica con la speranza e la fiducia.
L’eco viene da un campo di battaglia la cui lontananza non è data da misure geografiche ma da misure umane, culturali e sociali.
Se in questi giorni di tensione si fosse negli ospedali, dove un fiume umano scorre silenzioso e trepidante, ci si accorgerebbe della tristezza che quell’eco comunica.
Se in questi giorni di tensione si fosse nelle reti della solidarietà, che sono più che mai vive e presenti sul territorio, ci si accorgerebbe della povertà umana che viene da quell’eco.
Se in questi giorni di tensione si fosse nelle scuole, dove il futuro è seduto sui banchi, ci si accorgerebbe della pochezza intellettuale e culturale che quell’eco trasmette.
Se in questi giorni di tensione si fosse davanti ai cancelli delle fabbriche, dove l’angoscia si mescola alla rabbia, ci si accorgerebbe della delusione profonda che quell’eco accresce.
Se in questi giorni di tensione si fosse tra i nostri emigrati in Europa e nel resto del mondo, dove forte è la fierezza di essere italiani, ci si accorgerebbe del senso di frustrazione che quell’eco esporta.
È un suono che, seppur non arrivi con il vigore del grido mediatico, provoca ancor più incredulità e disorientamento, perché in questi luoghi ci sono sensibilità umane e morali, che in altri non sono così diffuse e accentuate.
In questi luoghi c’è un’umanità che si trova in prima linea a riflettere sull’essenziale della vita e avverte immediatamente sulla propria pelle le conseguenze di una battaglia triste.
Stare in questi giorni in mezzo alla gente e ascoltarla con rispetto consente di rendersi conto che è proprio il suo amore semplice e genuino per questo Paese a chiedere di deporre quelle armi prima che sia troppo tardi e a trasformare uno scontro distruttivo in un confronto dove ci si misuri con la forza della politica e non con la politica della forza.
Dalla gente che sta attraversando con sacrifici, responsabilità e fiducia una stagione difficile e convulsa s’impara a guardare lontano e in alto. Anche la politica, dunque, deve uscire dal tempio e immergersi nelle periferie, anche la politica deve prendere atto che dalle periferie e non solo dal centro viene l’indicazione della direzione da prendere insieme per uscire dalla crisi.
Non potrà, forse, essere un’indicazione tecnica ma certamente sarà un’indicazione morale. Un’indicazione di cui c’è assoluta necessità per non lasciare il Paese in balìa dei venti e delle onde di uno scontro dagli esiti distruttivi.
La gente non lo merita e ancor meno lo meritano le nuove generazioni che già provate dalla mancanza di lavoro e dal conseguente furto di dignità tengono con mani ferme il timone di una nave che procede in un mare in burrasca.
La gente ha scelto parole e fatti di responsabilità: come non augurare e augurarsi che la sua voce, come già sembra profilarsi, spenga il rumore delle armi della guerra e accenda quello delle armi della ragione?

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