Ravasi e ScalfariM. M. Nicolais

Qualcuno li ha chiamati “il cardinale laico” e “il cardinale cattolico”. Il fondatore di un giornale che si dichiara non credente ma “innamorato” di Gesù, e rivela di aver appreso “forzatamente” dai gesuiti non la fede, ma l’arte di ragionare. Il presidente di un dicastero pontificio che loda pubblicamente il suo interlocutore, per aver dichiarato che è l’incarnazione, e dunque la Crocifissione di Cristo, l’elemento “capitale” del cristianesimo. Ma – aggiunge spiegando a un non credente il legame indissolubile, per il cristiano, tra Croce e Risurrezione – che “non c’è amore più grande di colui che dà la vita per la persona che ama”. È cominciato con un dialogo tra il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, ed Eugenio Scalfari, fondatore de “La Repubblica”, il “Cortile dei Giornalisti”, la giornata del Cortile dei Gentili (www.cortiledeigentili.com) dedicata agli operatori della comunicazione. Nei due dibattiti successivi, i direttori dei principali quotidiani nazionali italiani si sono confrontati e interrogati su temi come il rapporto tra responsabilità e libertà, obiettività e verità nel mondo dei media – con i suoi “vizi” e le sue “virtù” – e le possibili interazioni tra fede e ragione. Il tutto a partire dalle straordinarie novità introdotte da Papa Francesco, nel modo di comunicare della Chiesa.

Tweet e “dintorni”. “Debbo molto a quei gesuiti che mi insegnarono a ragionare, ma sono innamorato dei francescani”. Alla platea, Scalfari racconta di quegli esercizi spirituali “forzati” dai gesuiti, nella Casa del Sacro Cuore a Roma, e puntualizza in anticipo: “Non siamo qui per convertirci a vicenda, ma abbiamo in comune la convinzione che le nostre posizioni diverse possano essere lievito per una terra che ha bisogno di essere fertilizzata”. A partire dal “retaggio” della fede cristiana, da trasmettere alle nuove generazioni di nativi digitali – i “nuovi barbari”, li chiama, cioè “coloro che stanno elaborando un nuovo linguaggio”, molto più povero di parole e ricco di immagini ma che rischia di “accrescere la solitudine”; in un mondo in cui “il tasso di narcisismo è diventato patologico”. Un tema, quello del ruolo della Chiesa nella rivoluzione della comunicazione dell’era digitale, toccato anche dal cardinale Ravasi, che ha ammonito: “Se un pastore oggi non si interessa di comunicazione è al di fuori del suo ministero”. Del resto, secondo il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, è stato proprio Gesù il primo a usare i tweet “in maniera sistematica” – “Il Regno di Dio è vicino, convertitevi”, 145 caratteri in tutto, nell’originale greco della Bibbia – e il suo modo di predicare attraverso le parabole ne ha fatto il “precursore” della tv. Infine, il linguaggio del corpo, la “via della corporeità”: tutti tratti, questi, ben evidenti nello stile del pontificato di Papa Francesco. Sul successo planetario dei tweet del Papa, che rende news.va – il portale vaticano – “il Cortile dei Gentili del nostro tempo” si è soffermato anche il direttore de “L’Osservatore Romano”, Gian Maria Vian, ricordando che quando tale iniziativa è nata “è stata difficile da far capire” nella sua portata, ma poi è esplosa, come dimostrano i milioni di “followers” – in costante aumento – dell’account @pontifex nel mondo.

Una questione di valori. Si potrebbe intitolare così il dibattito tra i principali direttori dei quotidiani nazionali italiani, che è ruotato attorno ad alcune parole-chiave come responsabilità, onestà, competenza. “In comune tra credenti e non credenti c’è la ricerca del bene comune e dei significati ultimi”, ha detto Ezio Mauro, direttore de “La Repubblica”, che come “cambiamento epocale” dell’attuale pontificato ha segnalato che “Papa Francesco non s’interessa delle beghe della politica”. Secondo Ferruccio De Bortoli, direttore del “Corriere della Sera”, “Papa Francesco ha abbandonato l’ossessione dei valori non negoziabili, che ha caratterizzato quasi esclusivamente la proiezione della Chiesa nel mondo mediatico, negli ultimi anni”. “Avere l’ossessione dei valori non negoziabili – ha replicato Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire” – “è avere l’ossessione per l’umano, nel tempo del preteso post-umano”. I cosiddetti valori “non negoziabili”, che sono poi quelli del magistero della Chiesa, e dunque anche di Papa Francesco, “sono quelli sui quali non si fa mercato, in un mondo in cui si fa mercato di tutto”. “Dare il giusto peso a ciò che accade è la strada maestra in un tempo di rumore di fondo altissimo”, ha detto Mario Calabresi, direttore de “La Stampa”, indicando nella capacità di “dare contesto” e nella “competenza” le bussole per chi fa il mestiere di comunicatore. Per quanto riguarda Papa Francesco, la sua “rivoluzione” consiste nel mostrare che “la Chiesa non può stare nel vestito che le è stato disegnato da fuori”: non si fa dettare i tempi dall’agenda politica. “Il Papa cambierà il nostro mestiere del fare informazione”, ha profetizzato Virman Cusenza, direttore de “Il Messaggero”. Una delle strade da continuare a percorrere, l’invito Roberto Napoletano, direttore de “Il Sole 24 Ore”, è quella sana “laicità” proposta e testimoniata da De Gasperi, che comporta l’allenamento costante a tenere vivo il legame tra fede e ragione.

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