TorinoSarà anche questa una Settimana “di svolta”?
Le Settimane Sociali dei cattolici italiani sembrano cadere sempre in anni particolarmente significativi per la storia dell’intero Paese. Avvenne nel 1924, quando il Fascismo era appena agli inizi e il Partito popolare veniva da un successo elettorale e politico importantissimo. Poi nel 1952, nel pieno dell’esperienza centrista (e della guerra fredda). E poi ancora nel 1993, anno primo della cosiddetta “seconda Repubblica”: quest’ultima Settimana fu dominata dal dibattito sul “nuovo che avanza”, rappresentato allora dalla Lega Nord e dalle sue sirene “federaliste”.
Oggi, 20 anni dopo, quale “nuovo” ci si potrebbe aspettare? E quale svolta? 
In realtà anche le Settimane sono cambiate: da laboratorio delle esperienze sociali e politiche del movimento cattolico oggi interpretano, ci pare, la realtà più complessiva di una Chiesa italiana “al passo coi tempi”, che si propone di intercettare le questioni vere che attraversano il Paese, i problemi autentici dei cittadini. In questo senso la scelta del tema “famiglia” rappresenta molto più il “nuovo” di quanto potrebbe esserlo un dibattito sul sistema elettorale o sull’Europa… È un punto di vista che lo stesso arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, ha ben presente. Nel suo messaggio alla città e alla diocesi per la Settimana (www.lavocedelpopolo.torino.it) il vicepresidente della Cei invita a guardare alla realtà delle famiglie come “baluardo” che in questi anni, e nel futuro, si è opposto con maggiore efficacia alla crisi. “Le gravi difficoltà in cui ci troviamo – scrive Nosiglia – e che riguardano beni o esigenze fondamentali come il lavoro, la casa, l’educazione delle nuove generazioni, una fiscalità eccessiva, un ambiente di vita sempre meno umano e fraterno, chiedono alla famiglia uno sforzo supplementare per essere, anche sotto il profilo economico e sociale, spazio di compensazione e di solidale sollievo. È dunque davvero venuto il momento di costruire una politica che riconosca la centralità della famiglia e dia risposte appropriate alle sue necessità sostenendo in particolare quelle più numerose”.
È qui che la crisi economica generale s’incrocia con la crisi di Torino: che è più specifica, più complessa e, purtroppo, più lunga e profonda. La città e il suo territorio stanno costruendo, faticosamente, un modello di sviluppo che non avrà più al centro l’automobile e la fabbrica, ma dovrà articolarsi in offerte di conoscenza (università, ricerca), sviluppo di nuove tecnologie e, anche, se possibile, turismo. Ma intanto la perdita del “volàno Fiat” si fa sentire soprattutto sui ceti più deboli. La città ha come rallentato i propri battiti, perché dietro l’indotto automobilistico c’era quell’“indotto” del terziario che normalmente accompagna le attività produttive e cresce con loro (assicurazioni, edilizia, scuola di base e di eccellenza, professioni liberali, ecc.). L’assenza del “motore” (ci si scuserà il facile gioco di parole) ha rallentato e reso più difficile anche tutto il resto. La cronaca di queste ore (giovedì 5) ha portato, finalmente, una notizia che tanti attendevano: l’impegno del gruppo Fiat per riaprire e rilanciare la fabbrica di Mirafiori, che ormai è, molto più che un posto dove si costruivano automobili, il simbolo di una “impasse” che non può durare più a lungo.
I delegati della Settimana Sociale troveranno, però, una città viva, e tutt’altro che rassegnata. Soprattutto, una Chiesa che non si arrende, e prodiga le proprie energie sia nel tamponare le emergenze sia nel provare a progettare “percorsi di futuro”. L’arcivescovo, con la Caritas, la pastorale sociale e quella dei migranti, ha promosso iniziative di ogni genere che servono, al di là degli esiti immediati, a creare e restaurare quel clima di solidarietà, di consapevolezza di un “bene comune” che consiste prima di tutto nel lavorare insieme e nel confrontarsi – tra istituzioni, parti sociali, mondi della scuola e del credito. Il “di più”, lo specifico che la Chiesa ci mette rientra pienamente nel contesto del tema “famiglia”: è l’esperienza del gratuito e della comunità educante, quelle caratteristiche di fondo che solo nella famiglia si ritrovano e vengono coltivate.

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