Martin Luther King a Washington (collider.com)

Errare è umano, perseverare è diabolico. Commettere errori succede a tutti, ma rendersene conto e porvi rimedio non è sempre cosa facile. Se poi capita nel mondo del giornalismo, allora diventa una notizia da prima pagina. Il Washington Post ha pubblicato un articolo che ha dell’incredibile e che rende onore a una grande redazione come è quella del noto giornale americano. Il 29 agosto saranno 50 anni dalla famosa marcia degli uomini di colore a Washington che culminò con l’ormai celebre discorso pronunciato da Martin Luther King. Quello del “I have a dream” per intenderci.

Il Post seguì l’evento con ben 29 reporter e ora uno di loro Robert Kaiser, all’epoca uno stagista ora nome di punta del giornale, fa mea culpa e ammette la gravissima mancanza avuta allora. Tanti furono gli articoli ma nessuno riportò integralmente il discorso di King e soprattutto non venne mai citata la famosa frase I Have a dream. “Il 29 agosto 1963 – si legge nell’articolo- il Post ha pubblicato decine di storie sulla marcia. In nessuna si è accorto dell’importanza del discorso di King. Le parole ‘I have a dream’ sono state riportate in un solo articolo, a pagina 15 nel quinto paragrafo”.

Mezzo secolo dopo l’ammissione del buco giornalistico fa onore al reporter e con esso a tutta la redazione e rende omaggio a quelle 250 mila persone che quel giorno ebbero il coraggio di scendere in piazza e manifestare per i propri diritti.
Un gesto bellissimo che rende il giornalista più umano perché tutti hanno diritto ad esprimere la propria opinione, tutti hanno diritto a sbagliare ma riconoscere gli errori è un gesto di umiltà e lealtà verso chi ogni giorno si “informa” attraverso la penna di un altro.

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