Abbiamo detto nel precedente articolo che molto tempo passò prima che la tela che oggi vediamo posta sopra l’altare principale potesse esservi collocata.

Caravaggio aveva terminato le due tele che raffiguravano “La vocazione di San Matteo” e “Il martirio di San Matteo” (tela della quale parleremo nella prossima puntata) quando gli eredi del cardinale Matteo Contarelli fecero collocare sopra l’altare della cappella il gruppo scultoreo che oggi possiamo ammirare nella chiesa della Trinità dei pellegrini. Esso rappresenta un angelo che col braccio sinistro regge un calamaio mentre col destro indica il cielo a significare l’origine divina delle parole che San Matteo sta per scrivere nel suo Vangelo. L’evangelista è seduto su uno scranno e viene come sorpreso alle spalle dall’angelo a significare l’alterità dell’azione divina nei confronti dell’uomo.

Per chi osserva l’opera, la mano che regge la penna con la quale l’evangelista sta per scrivere è in una posizione media fra l’angelo e il libro. Con questo particolare l’artista ha espresso la posizione che l’agiografo ha nella storia della salvezza: egli si trova a metà strada fra l’angelo che lo ispira e il libro che egli consegnerà alla comunità cristiana. I vangeli non sono scesi dal cielo, allo stesso modo in cui il Corano è sceso dal cielo per i musulmani: essi sono testi ispirati da Dio, ma scritti con le mani e con la testa degli uomini di cui Dio si è servito; si può dire che in un certo senso vale per la composizione delle Sacre Scritture lo stesso principio del rapporto Grazia divina-responsabilità umana del quale abbiamo parlato a proposito della precedente tela. Per i cattolici, a differenza dei protestanti, non vale il principio della “Sola Scriptura”, essa è sempre annunciata e interpretata dalla Chiesa in linea con le parole di Sant’Agostino: “Non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica” (cfr. Sant’Agostino, Contra epistulam Manichaei quam vocant fundamenti, 5, 6).

Dunque a un livello teologico l’opera dell’artista fiammingo rispondeva perfettamente alle esigenze del tempo. Perché dunque è stata rimossa? Molto probabilmente perché accanto a due opere di Caravaggio gli spettatori potevano avvertire qualcosa di “stonato”, un’opera scultorea forse si inseriva male fra due opere su tela e ne spezzava l’unità. Fu così che i committenti nel 1602 decisero di rimuoverla e di commissionare a Caravaggio anche la tela che doveva sovrastare l’altare.

Come dicevamo nella precedente catechesi della bellezza, quest’opera venne giudicata inopportuna: l’angelo faceva tutto un corpo con San Matteo non evidenziando l’origine divina della Sacra Scrittura e in più guidava materialmente l’evangelista nella stesura del Vangelo e una tale immagine non rendeva bene la visione cattolica sull’ispirazione delle Scritture; l’evangelista sembrava una sorta di burattino nelle mani dell’angelo che figurava così come l’unico autore del vangelo a scapito della componente umana. L’opera, come dicevamo, fu acquistata da Vincenzo Giustiniani, passò poi ai Musei di Berlino e fu distrutta verso la fine della seconda guerra mondiale nell’incendio della Flakturm  Friedrichshain ed oggi la conosciamo solo grazie a qualche foto scattata prima che fosse distrutta.

Fu così che Caravaggio compose l’attuale tela. Caravaggio riprese il modello elaborato da Jacob Cobaert e dipinse San Matteo sorpreso alle spalle dall’angelo, però pose questi sospeso nel cielo per accentuare l’origine divina del messaggio evangelico. La posizione dell’evangelista è comunque tutt’altro che classica! Egli sta scrivendo il suo vangelo ascoltando le parole dell’angelo stando seduto in modo poco composto su uno sgabello.

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