Di Alberto Campaleoni

Malala Yousafzai ha solo 16 anni. È una ragazzina, minuta, avvolta in uno scialle che le incornicia il volto e la rende all’apparenza ancora più piccola e indifesa. Eppure le sue parole all’assemblea dell’Onu, proprio il giorno del suo 16° compleanno, sono quelle di un gigante, hanno il respiro dei grandi, quelli con la maiuscola.
Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione”. Così dice Malala, che qualche mese fa era stata presa di mira dai talebani, nella provincia di Swat nel nord-ovest del Pakistan. Stava tornando a casa da scuola e le hanno sparato perché si dava da fare proprio per il diritto all’istruzione delle ragazze nel suo Paese. Malala è stata curata prima in Pakistan e poi Inghilterra. Si è ripresa e ha ricominciato l’impegno a favore dell’istruzione delle donne, con più forza di prima. “Quando mi hanno sparato – ha detto – la paura è morta così come l’essere senza speranza”. Quei colpi che dovevano ridurla al silenzio hanno invece fatto nascere “forza e coraggio”.
Lo scialle di Malala all’Onu era quello di Benazir Bhutto l’ex premier pachistana assassinata nel 2007, un’altra donna coraggiosa, un segno di continuità per l’impegno a favore dei più deboli. E le parole di questa ragazzina sono una lezione davvero importante: “Io sono la stessa Malala, le mie ambizioni sono le stesse, i miei sogni sono gli stessi. Non odio nessuno. Sono qui per parlare per il diritto all’istruzione. Voglio che anche i figli e le figlie dei talebani siano istruiti e se mi trovassi con una pistola in mano di fronte al talebano che mi ha sparato non lo ucciderei. Questa è la compassione che ho imparato da Maometto, da Gesù Cristo e da Buddha, da Martin Luther King, da Nelson Mandela e da Mohammed Ali Jinnah”.
Tolleranza. E pace. Questa è la richiesta ai grandi del mondo. E la conseguenza – verrebbe da notare – di quella istruzione per la quale vale la pena spendersi. Così ancora Malala, ad alta voce: “Chiediamo ai leader di tutto il mondo di cambiare le politiche strategiche a favore di pace e prosperità, che tutti gli accordi tutelino i diritti di donne e bambini. Chiediamo a tutti i governi di assicurare l’istruzione obbligatoria e gratuita in tutto il mondo a ogni bambino, di lottare contro il terrorismo e la violenza, ai Paesi sviluppati di sostenere i diritti all’istruzione per le bambine nei Paesi in via sviluppo”. Perché, ha spiegato ancora nel corso del discorso, “la penna è più forte della spada”. Gli estremisti “hanno e avevano paura di libri e penne. Il potere dell’istruzione fa loro paura. E hanno paura delle donne: il potere della voce delle donne li spaventa… hanno paura del cambiamento, dell’uguaglianza all’interno della nostra società”.
Parole piene di passione, che rischiano però di passare inosservate a un osservatorio come il nostro, dove l’istruzione – bene o male – c’è per tutti. Eppure nel mondo ancora oggi circa 50 milioni di bambini, dai 5 ai 15 anni, non vanno a scuola a causa di guerre e disordini. Nel 2012 – dati Unesco e Save the Children – sono stati 3.600 gli attacchi di vario tipo per impedire ai bambini l’accesso all’educazione. Insomma, c’è molto da fare. A livello di impegno internazionale, certo. Ma riscoprendo anche in un Paese come il nostro – e non è scontato – l’importanza delle politiche educative, da sottrarre a polemiche di parte e da considerare alla stregua di un bene comune. Per fare migliore il mondo.

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