In questi giorni S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi, Presidente del Osservatorio Van Thuan è in Ecuador per una serie di conferenze sulla Dottrina sociale della Chiesa su invito della Conferenza Episcopale di quel Paese. Inviamo il testo della conferenza tenuta a Guayaquil in lingua italiana e spagnola.

La Dottrina sociale della Chiesa (DSC) deve confrontarsi con le emergenze del nostro tempo. Essa, infatti, nasce dall’incontro del Vangelo con i problemi sempre nuovi che l’umanità si trova ad affrontare. La DSC non è una teoria, una ideologia, una saggezza umana, ma espone le conseguenze dell’incontro con Cristo salvatore per la vita comunitaria, per la politica, la società, l’economia, la cultura, il lavoro. Essa nasce dall’incontro della Chiesa con il mondo per l’evangelizzazione, ossia per l’annuncio di Cristo. Essa stessa è annuncio di Cristo nelle realtà temporali. Ecco perché le emergenze che l’umanità attraversa nel tempo la interessano direttamente. Leone XIII nel 1981 aveva parlato degli operai nella nuova società industriale. Quella era l’emergenza di quel tempo. Paolo VI nella Populorum Progressio ha parlato dello sviluppo perché quella era l’emergenza del suo tempo. Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha parlato dello strapotere della tecnica perché questa è l’emergenza del nostro tempo.

Bisogna però ricordare che la Dottrina sociale della Chiesa non rincorre i temi di attualità semplicemente per essere aggiornata (up to date), come può fare un notiziario o un quotidiano di informazione. L’attualità le deriva non tanto dai temi che tocca ma dal Vangelo che è sempre nuovo. La DSC non fa la cronaca delle novità, ma legge gli avvenimenti umani alla luce del Vangelo. Così essa rinforza le menti e i cuori e dà speranza all’uomo smarrito. Ogni epoca ha le proprie emergenze, perché la vita terrena non conosce assenza di preoccupazioni. Ma la luce del Vangelo la rischiara e ridona vigore a chi lavora per la giustizia e la pace.

Oggi tutti sono d’accordo nel dire che c’è una emergenza economica a carattere mondiale. Non sarebbe una novità. Tante altre volte in passato si è verificato qualcosa di simile. La Quadragesimo anno di Pio XI era stata scritta dopo la tremenda crisi finanziaria del ’29, molto simile alla nostra di oggi. Stavolta, però, tutti percepiscono che nella crisi economica c’è qualcosa di più e di più grave. Perfino rispetto alla grande crisi del ’29. Il distacco della finanza dall’economia reale si è fatto molto forte perché la finanza è spesso diventata una ideologia, uno stile di vita, una visione delle cose, perdendo di vista le sue giuste finalità.

L’esplosione della finanza e il suo distacco dalla economia e dalla vita reale si fondano su una filosofia del debito, del consumo prima della produzione della ricchezza da consumare, dell’anticipazione ad oggi di benefici che matureranno solo domani. Possiamo chiamarla la filosofia della “carta di credito”. Consumo, mi indebito, pagherò a fine mese, o il mese prossimo, o l’anno prossimo. Una volta si diceva: lavoro, guadagno, risparmio, spendo. Oggi non è più così, c’è la smania di avere il domani già oggi. Qualcuno lo chiama “presentismo”, ossia l’assolutizzazione del presente, con disinteresse per il futuro. Qualcun altro lo chiama “consumismo”, ossia l’esaltazione del consumo rispetto alle altre fasi del ciclo produttivo. Come si vede, non si tratta solo di finanzia o di economia ma anche di visione della vita.

A questa visione della vita la DSC contrappone la responsabilità rispetto alle generazioni future, la solidarietà rispetto a coloro che non riescono a tenere i ritmi di questo consumismo, la sussidiarietà della finanza, che rappresenta solo uno strumento, verso l’economia reale e la sussidiarietà dell’economia reale rispetto alla dignità della persona umana, la giustizia, la tutela della famiglia.

L’emergenza finanziaria è, in fondo, una sfiducia nel futuro. Si vuole consumare già oggi quanto si produrrà domani. In questo modo si ipoteca il futuro dei nostri figli e delle nostre famiglie, caricandoli dei nostri debiti e ci si presta alla speculazione che crea valore ma non reale. Questa sfiducia nel futuro è evidente anche in un’altra emergenza oggi particolarmente evidente: la crisi demografica. Qualcuno purtroppo continua a parlare di bomba demografica, ossia di una aumento della popolazione mondiale insostenibile. Ma ormai non ci crede più nessuno. La verità è piuttosto il contrario. Autorevoli interpreti ritengono che la crisi economica e finanziaria che è partita nel 2008 negli Stati Uniti abbia alla sua origine proprio il declino demografico che imponeva di sfruttare al massimo i consumi delle famiglie, ridottesi di numero, anche fornendo loro prestiti facili, per esempio per l’acquisto della casa.

La Caritas in veritate di Benedetto XVI affronta con saggezza e realismo la questione della crisi demografica, mettendo in evidenza che le nazioni con un futuro davanti a sé sono proprio quelle con un’alta popolazione giovane, mentre le altre sono destinate al declino. E’ questa la situazione dei Paesi europei, per esempio, che vivono un “inverno demografico” che li indebolisce spiritualmente e materialmente.

La DSC insiste da sempre sull’importanza della famiglia, sulla apertura alla vita, sulla solidarietà tra le generazioni. Analizzando la situazione attuale queste raccomandazioni trovano conferma, non solo per  i valori che esse esprimono in sé, ma anche per le ripercussioni sulla vita economica e lavorativa che comportano. Una società individualista, chiusa alla vita, incentrata solo sul presente, è debole anche come sistema produttivo ed economico perché alla fine ciò che conta è la tenuta complessiva del sistema morale di una nazione.

Si capisce così l’importanza dell’emergenza della negazione del diritto alla vita nelle nostre società. L’apertura alla vita, dice la Caritas in veritate, è fondamentale per lo sviluppo dei popoli. Oggi, invece, tutte le nazioni sviluppate contemplano nei propri ordinamenti la possibilità di ricorrere all’aborto con l’aiuto dello Stato. Contemplano spesso anche la possibilità di indurre la morte ad un malato terminale, perfino se si tratta di un bambino. L’America Latina è fortemente investita da pressioni internazionali e interne affinché introduca nei propri ordinamenti queste leggi contrarie alla vita. Negli Stati Uniti è in atto un ripensamento: in questo ultimo anno ci sono state ben 32 restrizioni della legislazione sull’aborto negli Stati americani. Contemporaneamente nell’America Latina aumentano i Paesi che consentono l’aborto.

Non si creda che queste leggi contrarie alla vita non abbiano forti ripercussioni negative anche sulla vita sociale ed economica in generale. Non si tratta di leggi isolate che contemplano atti isolati. Si tratta di leggi dal forte impatto sull’intera convivenza sociale. Se la società non si apre all’accoglienza nell’atto in cui la vita nasce, non potrà poi essere veramente accogliente nemmeno nelle altre situazioni della vita sociale ed economica. Una società dai cuori induriti produce frutti negativi in tutti i campi. Come si può maturare un senso di aiuto e di solidarietà vero i più deboli, i lavoratori disoccupati, i giovani in cerca di lavoro, i poveri se ci si dimostra duri e indifferenti davanti all’uccisione di chi chiede solo di venire alla vita? Il più debole tra i deboli è il feto nel ventre materno. La scelta preferenziale per i poveri della DSC comincia da qui per estendersi poi alle altre forme di povertà. Per essere poveri, prima bisogna essere. L’impedimento ad entrare nella vita è la prima forma di povertà.

La crisi economica è mancanza di fiducia e speranza nel futuro. Così anche l’emergenza demografica e quella relativa al diritto alla vita. La DSC può essere anche vista come una visione delle cose piena di speranza. L’uomo moderno è spesso angosciato, cerca strenuamente la felicità ma spesso, per raggiungerla, si rivolta contro se stesso. Vive come se Dio non fosse ma vivendo senza Dio vive anche indifferente al senso. Se la vita è priva di senso, perché sacrificarsi per accoglierla dal seno materno? Perché formare una famiglia ed educare i figli? Perché mettere in piedi un’impresa e farla funzionare bene con utilità per tutti? Perché lottare per la giustizia e la pace? Se la vita è priva di senso allora niente ha un senso, oppure tutto può avere anche il senso contrario. La DSC apre invece la prospettiva della speranza. Penso che l’enciclica di Benedetto XVI Spe salvi sia, in fondo, anche un’enciclica sociale. La nostra volontà deve seguire la ragione che le sta davanti. Ma anche la ragione può essere presa dalla disperazione. Essa deve allora seguire la speranza che la traina.

La DSC dà all’uomo la speranza di conoscere la legge naturale che Dio Creatore ha posto nelle cose. Il mondo non è fatto a caso. Anche la vita sociale rientra nel progetto creativo di Dio, in quanto essa deve rispettare alcuni principi e finalità naturali. La vita, il matrimonio, la famiglia, la libertà di educazione, la giustizia, la pace, sono prima di tutto esigenze naturali, che promanano dalla natura umana. Non sono costrizioni, ma strade da battere nella libertà per poter essere veramente persone umane.

La DSC dà poi all’uomo la speranza in quanto lo rassicura che il male è stato vinto dal Salvatore, che il Regno di Dio ha già avuto inizio, che l’amorevole provvidenza divina guida la nostra storia, che tutto è destinato a trovare adeguato compimento. Che il male sia stato vinto non vuol dire che non ci sia più nella storia, né che non debba più essere combattuto, ma vuol dire che con la grazia di Dio si può combattere e vincere, significa che possiamo essere liberi, resi liberi dalla verità. Da qui promanano nella società infinite energie spirituali per cui la DSC è anche una animazione della società umana. Essa mostra come senza Dio tutte le relazioni umane si inaridiscono e lo stesso futuro perde di significato.

Dico queste cose perché oggi ci troviamo davanti ad un’altra emergenza di cui la DSC deve occuparsi: l’emergenza educativa. Essa è stata segnalata più volte da Benedetto XVI ed è veramente universale. L’educazione è oggi in crisi a tutte le latitudini. Anche in questo ambito, a pensarci bene, troviamo la stessa mancanza di speranza per il futuro di cui ho parlato prima. Non si riesce ad educare quando non si sa più chi è colui che vogliamo educare e a quale futuro bisogna prepararlo. Per consumare il presente non serve educare. Il consumismo, inteso in senso ampio come visione della vita, impedisce l’educazione. Ma soprattutto l’incertezza di oggi su chi sia l’uomo la impedisce.

Un tratto della cultura di oggi è non tanto lo scontro delle antropologie, che in fondo c’è sempre stato, ma lo scontro tra chi dice che una antropologia non c’è e chi afferma invece che è possibile conoscere l’uomo. Il pluralismo oggi si estende non solo alle varie antropologie, ma anche alla cultura che nega l’esistenza stessa di una antropologia. Sicché, spesso, per essere rispettosi del pluralismo non si prende posizione sull’uomo.

Sta qui la crisi delle nostre istituzioni educative, a cominciare dalla famiglia per finire alla scuola. Quest’ultima diviene spesso un luogo in cui tutte le posizioni si confrontano criticamente. Ciò è positivo, ma rischia di non essere costruttivo ma dispersivo. Nei programmi scolastici spesso non si dice che uomo vogliamo educare. Il rispetto delle opinioni altrui spesso distoglie dall’insegnare la verità. Per esempio da quanto nelle società occidentali avanzate si diffondono forme di convivenza fuori del matrimonio diventa difficile educare al matrimonio e alla famiglia. La scuola non educa quasi più a questi valori. Affermare delle verità ed educare ad esse viene ritenuto offensivo di chi si rifà a verità diverse.

Questo però ci mette davanti all’emergenza democratica, anche essa molto viva ai nostri giorni, pur nei sistemi formalmente democratici. La democrazia non è il luogo dove si accostano le varie opinioni, ma dove le opinioni cercano insieme la verità e si fanno da essa guidare. Questo significa dire, con la DSC, che la democrazia non è la libertà senza la verità, perché in questo caso essa può trasformarsi in una forma di totalitarismo subdolo. Non si tratta di stabilire le regole del traffico in modo che tutte le opinioni possano transitare liberamente senza scontrarsi.

Questa è la democrazia solo procedurale e non sostanziale. Inoltre sarebbe una democrazia individualistica che si limita a stabilire le regole solo per garantire che ognuno possa fare quello che vuole. La democrazia seleziona le opinioni. Le seleziona nella libertà e nella partecipazione, ma le seleziona. Ad alcune non dà il diritto di transitare perché le ritiene contrarie al bene dell’uomo e al bene comune. La democrazia ha alla base i valori legati alla trascendente dignità della persona umana e su questi, nel rispetto della libertà e delle leggi, non può transigere.

Quando nella mentalità comune la fedeltà personale a questi valori viene meno, allora anche la democrazia è in pericolo. Per questo bisogna educare alla democrazia. E’ strano: nelle dittature non sarebbe necessario educare ed invece nelle democrazie sì. Invece avviene spesso il contrario. Qui l’emergenza educativa di cui ho parlato prima e l’emergenza democratica si toccano. Le democrazie non possono permettersi di rinunciare ad educare ai valori umani, perché la democrazia può, democraticamente, danneggiare l’uomo. In questo caso sarebbe formalmente ancora tale, ma sostanzialmente no.

Vorrei a questo punto concludere questo mio breve viaggio all’interno delle emergenze contemporanee. Tutti i punti da me toccati confluiscono nel dire che l’emergenza principale oggi è quella antropologica. Essa le  riassume tutte. Smarrito il senso dell’uomo e messa da parte la nozione di natura umana diventa difficile affrontare tutti i problemi umani. Non ce ne sono di unicamente tecnici. Tutto fa capo sinteticamente alla persona che è il vero principio, soggetto e fine, come dice il Vaticano II, della vita sociale. E lo è come un tutto non scomponibile in parti.

Però dobbiamo anche porci con franchezza un’altra domanda. La crisi antropologica si spiega da sola? No, non si spiega da sola. Perché il piano umano non è il piano ultimo. Essa si spiega con la crisi teologica. Man mano che viene meno la coscienza di Dio, declina anche la coscienza dell’uomo. Il concetto di persona è nato dal Cristianesimo, quando, riflettendo sulle Persone divine, i Padri della Chiesa e i primi Concili ecumenici hanno trovato spunti chiave per capire meglio anche la persona umana. Alla Persona homini si è giunti partendo dallaPersona Domini. E’ quindi logico che, perdendosi quest’ultima si perda anche la prima. La regola dell’origine vale anche come regola della fine, naturalmente rovesciata.

Dico questo per mostrare come l’appello alla DSC per fronteggiare le emergenze del momento e la stessa possibilità di affrontarle dipenda, in fondo, dalla nuova evangelizzazione. E’ una nuova fase del rapporto tra evangelizzazione e promozione umana che, come diceva Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi, si richiamano a vicenda.

 

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