Le “buone intenzioni” di Galilei non verranno ben recepite dalla Chiesa del tempo e questo alla luce del clima culturale proprio della Controriforma. Come infatti abbiamo detto in precedenza, il Concilio di Trento aveva fatto divieto ai singoli di interpretare la Sacra Scrittura, per giunta, Galilei non è un ecclesiastico o un teologo ma è un laico.

Il ragionamento del Galilei prosegue enunciando la distinzione fra ambito scientifico e teologico. Scrive infatti:

… mi pare che nelle dispute sul piano naturale ella (la Sacra Scrittura) dovrebbe essere collocata alla fine: perché procedendo allo stesso modo dal verbo divino sia la sacra Scrittura che la natura,quella come espressione dello Spirito Santo e questa come esecutrice osservantissima degli ordini di Dio

Chi ha voluto successivamente fare di Galilei una vittima dell’oscurantismo cristiano trova forse in queste parole la più grande smentita. Galileo Galiei è un credente che vede Dio all’opera tanto nella Sacra Scrittura quanto nella natura. Trovandosi però la Sacra Scrittura nello stato di essere scritta per essere compresa anche dal volgo, essa non è attendibile, secondo lo scienziato pisano, per capire le leggi della natura le quali possono essere afferrate solo con l’esperienza sensibile o con certe dimostrazioni:

Pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone davanti agli occhi o le necessarie dimostrazioni  ci fanno concludere, non debba in alcun conto essere cancellato in caso di dubbi con passi della Sacra Scrittura.

Riprendendo quanto fino ad ora sostenuto Galilei sviluppa ora un ragionamento a fortiori: se le verità alte dei dogmi riguardanti Dio, al fine di essere compresi dagli uomini, sono esposti nella Sacra Scrittura in modo assai semplice con immagini e figure che, se prese alla lettera, addirittura potrebbero essere prese come quanto di più falso sulla natura di Dio, allora tanto più questo di deve asserire per tutto quello che nella Bibbia riguarda il mondo naturale.

Se per questo solo rispetto, di adeguarsi alla capacità di popoli rozzi e indisciplinati, non s’è astenuta la Scrittura di esprimere in modo velato i suoi principalissimi dogmi, attribuendo  perfino allo stesso Dio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà con certezza ed energia sostenere che ella, messo da parte tale rispetto, nel parlare anche casualmente di terra o sole o d’altra creatura, abbia scelto di contenersi con tutto rigore dentro  ai limitati e ristretti significati delle parole?

L’inaffidabilità della Sacra Scrittura nelle questioni che riguardano l’ambito naturale deve far sì che le sue parole non vengano impegnate a sostenere tesi che l’esperienza potrebbe rivelare false in seguito. Secondo Galilei ci si deve attenere a un principio di prudenza:

…crederei che fosse prudente non consentire ad alcuno di impegnare brani della Scrittura obbligando tali interpreti in un certo modo, a dover sostenere per vere alcune conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario

La distinzione operata da Galilei fra verità di fede e verità di natura non impoverisce affatto secondo il suo pensiero la grandezza e l’autorità delle Sacre Scritture, anzi esse ci mostrano l’unica via necessaria per la nostra salvezza che in nessuna altra parte possiamo trovare se non in esse:

Sarei dell’avviso che l’autorità delle Sacre Lettere abbia avuto il fine di convincere gli uomini con quegli articoli e preposizioni, che essendo necessarie per la loro salute e superando ogni discorso umano, farsi a noi credibili che per bocca dello Spirito Santo.

La parte teologica si conclude con un’osservazione sulla quantità dei dati scientifici contenuti nella Bibbia: Galilei osserva che se essi fossero una condizione indispensabile per la nostra salvezza, sarebbero molto più ampi i riferimenti della Scrittura al mondo naturale, essi invece sono assai esigui e limitati.

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