Di Paolo Bustaffa

Ricorre spesso nei dibattiti, riaccesi in questi giorni nei Paesi europei, l’aggettivo “tradizionale” a commento della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna oppure a commento della visione cristiana della vita umana nelle sue diverse stagioni.
Gli aggettivi non sono mai neutrali, trasmettono messaggi che influiscono sulla formazione della mentalità, della percezione e del giudizio.
“Tradizionale” ha un po’ il sapore delle cose passate, superate, lontane.
Se per alcuni aspetti questo è vero, c’è dell’ambiguità quando l’aggettivo viene incollato, come un’etichetta, anche a valori e principi che, per il loro radicamento nella verità, attraversano il tempo senza consumarsi.
Fare chiarezza è importante, non per promuovere interessi di qualcuno ma per promuovere un valore che impegna tutti: la verità.
Fare chiarezza con le scelte concrete è altrettanto importante ma oggi è forse più urgente del fare chiarezza con le parole.
In questa prospettiva di responsabilità il linguaggio cristiano, sui grandi temi della famiglia e della vita, deve ancor più scoprirsi e meglio proporsi come il linguaggio del futuro e per il futuro.
Alle attese più profonde dell’uomo, che sono domande di felicità, risponde l’alleanza tra le radici e le ali, tra la memoria e il progetto, tra le generazioni che si avvicendano nella storia con il respiro dell’eternità.
Immagini forse lontane, forse un po’ in dissolvenza in una cultura della velocità e dell’inseguimento della cronaca.
Può essere così ma c’è un cammino dell’uomo che, accompagnandosi con altri e diversi cammini sulle strade del mondo, crea incroci cioè luoghi di domande, di risposte, di ascolti reciproci, di ricerca comune.
Spazi di umanità dove i cartelli indicatori sono i volti di persone, famiglie e comunità che raccontano la bellezza della verità con il linguaggio della gioia, anche nelle ore della fatica e della sofferenza.
La gioia è la risposta non di chi si sente assediato o accerchiato ma di chi affronta la complessità con quella intelligenza del cuore che nasce dalla fatica del pensare e dallo stupore di sentirsi pensati.
C’è un papa, Francesco, che lo sta dicendo ogni giorno. C’è stato un papa, Paolo VI, che sulla gioia declinata con la sofferenza ha scritto pagine di straordinaria intensità.
In un tempo di crisi, d’incertezza e di paura è dunque la gioia il messaggio più rivoluzionario che un cristiano, una famiglia cristiana e una comunità cristiana possono trasmettere.
Una gioia che non ignora la sofferenza, la assume pienamente ma non la ritiene la parola vincente. Il realismo non è tristezza o pessimismo e non ci si può aggiungere alla lista di quanti, avendone anche comprensibile motivo, vivono questi stati d’animo.
La trappola dell’insignificanza si apre proprio nei passaggi più ardui del vivere quando alla domanda di speranza si risponde con parole vane o con il nulla.
Bisogna esserne consapevoli: comunicare gioia, comunicare futuro, non viene dall’improvvisazione ma da un esercizio interiore che non si chiude orgogliosamente in se stesso ma si propone ad altri come ricerca dei significati più alti e più belli del vivere.
Questa ricerca c’è anche oggi, ha colori vivaci, è presente sul territorio, nasce e cresce in molte famiglie e in molte esperienze di ascolto, di solidarietà, di condivisione, d’impegno.
C’è una geografia della bellezza che andrebbe ridisegnata e forse bisognerebbe riscrivere gli itinerari di conoscenza delle nostre città perché le tracce della gioia sono visibili nei volti delle persone che abitano anche nelle periferie.
Accanto a un meraviglioso patrimonio artistico c’è un sorprendente patrimonio di umanità.
A tenere viva nel tempo questa ricchezza e a collegarla con il futuro è il sentirsi responsabili gli uni degli altri, è la passione per la verità e per il bene comune, è trasmettere con la gioia il sapore del futuro.
C’è un luogo insostituibile dove tutto questo nasce e cresce: la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. È il sorriso di questi volti la più bella e positiva risposta all’uso improprio, a volte cattivo, di un aggettivo.

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