Da sinistra il presidente provinciale di Confesercenti Bruno Tommaso Traini, il Vescovo Gestori, Edio Costantini.

DIOCESI – La riflessione del Vescovo Gervasio Gestori al convegno “Lavorare per vivere o vivere per lavorare”.

La famiglia è un bene umano fondamentale, prima di essere un bene cristiano. E’ la cellula base della nostra convivenza sociale. Mai come nel nostro tempo questo deve essere portato alla attenzione di tutti, perché le politiche familiari, specialmente nel contesto italiano, sono state troppo pesantemente dimenticate.

Contro la diffusa opinione, che ritiene la famiglia oggi ridotta alla sola dimensione affettiva, è stato ampiamente dimostrato che essa ha un grande rilievo sociale ed economico, capace di garantire educazione, produzione, assistenza, lavoro non solo ai suoi membri.
Essa è un punto di riferimento socio-economico fondamentale, come spiegano gli economisti più attenti, meno legati a paradigmi individualistici, e come la stessa gente comune percepisce concretamente.

In questi momenti di crisi economica ed occupazionale, in cui le capacità di spesa delle singole famiglie sono tornate ai livelli di vent’anni fa ed in cui i servizi assistenziali si contraggono continuamente, con una pesante disoccupazione giovanile, che trova un bilanciamento grazie all’ appoggio dei genitori (e dei nonni), solo la famiglia resta un punto di riferimento, con tutti i suoi limiti (Cfr Francesco D’Agostino – Avvenire).

Ed ecco allora il dilemma: la famiglia tra lavoro e riposo festivo. Essa va difesa:ha bisogno di lavoro ed ha bisogno di riposo. Lavorare per vivere o vivere per il lavoro? Due valori da salvaguardare per il bene concreto della famiglia e, di conseguenza, della società. Il lavoro è un dovere, ma esso è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro. La Parola di Dio afferma il dovere del lavoro (il Signore ha affidato la terra alla custodia dell’uomo), ma ricorda pure il dovere del riposo (è il terzo comandamento).

La Conferenza Episcopale Italiana ha fatto presente tre motivazioni per la doverosa salvaguardia del riposo domenicale.

La prima motivazione è di ordine antropologico, o semplicemente umano: senza il riposo festivo ogni uomo si svuota, non ha il tempo per la riflessione, per gustare le cose belle, per dare senso alla propria esistenza, per motivare il proprio impegno, per poter svolgere opera di volontariato, per condividere momenti di giusto svago e vivere le buone amicizie.

La seconda è di carattere familiare: le famiglie, specie le mamme, costrette a lavorare di domenica, non hanno più il giusto tempo e la reale tranquillità per seguire i propri figli, soprattutto nella fase dell’adolescenza, con conseguenze educative e sociali spesso pesantissime. La casa perde di calore umano per un ipotetico vantaggio economicistico.

La terza motivazione è di ordine economico. Dicono che la legge sulla liberalizzazione abbia di fatto abbassato i ricavi e quindi non sarebbe vero che le aperture domenicali rilancino l’economia. Non basta la sola libertà per dare slancio all’economia, ma occorre investire in etica, cioè in mentalità.

Non si tratta dunque di una battaglia clericale, per difendere la Messa festiva, anche se questa ci sta particolarmente a cuore per la vita di fede. L’uomo è anche un produttore, è anche un consumatore, ma è innanzitutto una persona libera, che ha uno spirito ed un cuore, e domanda di avere tempo per poter pensare, condividere, amare. E quindi, l’eventuale apertura domenicale dei negozi dovrebbe essere una eccezione, non la regola.

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