MONTEPRANDONE – Sabato 27 aprile si è tentuto a Monteprandone presso il convento di S.Maria delle Grazie l’incontro “Lavorare per vivere o vivere per Lavoro”, promosso dalla Confersercenti di Ascoli Piceno e organizzato con il sostegno della Cei e la collaborazione di alcune confederazioni sindacali, l’Azione Cattolica e il CSI. L’incontro è stato organizzato per risvegliare le coscienze sulla centralità dell’uomo: in un periodo in cui le relazioni si sono spostate su internet e la persona è schiacciata dalle preoccupazioni per la crisi e dal mercato, si è creata l’esigenza di riequilibrare il tempo del lavoro con il tempo della persona. In quest’ottica va vista la battaglia intrapresa dalla Confesercenti con il sostegno della Cei attraverso la campagna “Libera la Domenica”, una proposta di legge di iniziativa popolare per restituire alle Regioni la facoltà di decidere sulle aperture domenicali, per ridare il giusto spazio al giorno del Signore per i credenti e del riposo per i non credenti.

All’incontro è intervenuto il Vescovo Gervasio Gestori che è partito da una riflessione sulla famiglia come “cellula base della società, che va protetta: se si salva la famiglia si salva la società. A tal fine bisogna tenere bene a mente questi tre valori: famiglia, lavoro, riposo. In questi nostri tempi la famiglia è in grande difficoltà, perché le politiche familiari del nostro governo sono state piuttosto assenti e hanno penalizzato il futuro di questa cellula fondamentale che è la famiglia. E’ vero che il lavoro attualmente sta mancando per tanti capi di famiglia e per molti giovani, ma il riposo è molto importante, senza momenti di riposo non si è uomini liberi che possono riflettere e pensare, fare del volontariato, condividere amicizie e dare un significato allo stesso lavoro e al vivere.
Come mettere insieme questi tre valori e cioè la famiglia, il lavoro e il riposo? Ecco il senso di questa giornata, che cerca di rispondere difendendo la famiglia, difendendo il lavoro, e difendendo il riposo festivo.
E’ possibile
? Penso proprio di sì basta avere delle ottime intenzioni buona volontà e una giusta proposta politica”.

Tra i vari relatori era presente Don Mario Lusek, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport della Cei, con un intervento sul Tempo del Lavoro,Tempo della Festa, che ha gentilmente risposto ad alcune domande sull’argomento:

Come è cambiato il ruolo sociale della famiglia nel corso degli anni?
Parlando del ruolo della trasmissione della vita, la trasmissione dei valori e la trasmissione educativa o della fede, c’è stata di fatto una rivoluzione. Sicuramente, tutte le istituzioni come la scuola, la Chiesa e la famiglia hanno davanti grandi sfide perché è cambiata la società, la sensibilità e anche il modo di vedere l’uomo, e la crisi dell’uomo è diventata anche la crisi della famiglia e delle istituzioni. Quindi il problema più grande è la trasmissione della fede per noi della Chiesa e la trasmissione di modelli educativi adeguati che possano far crescere in maniera integrale, equilibrata e serena le nuove generazioni, a livello educativo.
La famiglia è penalizzata dalla cultura che respiriamo, non è sostenuta adeguatamente da chi è chiamato a compiti di responsabilità, quindi vive la sua precarietà, la sua insicurezza e forse anche la sua dispersione al contempo, perché anche i ritmi di vita penalizzano la famiglia. Il lavoro è concentrato in un luogo e nei fine settimana il tempo libero e i momenti di festa sono concentrati altrove, la casa è diventata soltanto un punto di riferimento serale o di dormitorio quindi c’è la frantumazione all’interno che non favorsisce l’unità della famiglia; l’eclissi della festa e del momento domenicale porta ad un’ulteriore disgregazione e dispersione quando magari in passato si viveva nello spirito della convivialità, della fraternità e dell’amore familiare.

Perché è importante non lavorare la domenica?
La risposta a questa domanda non nasce esclusivamente da motivazioni religiose ma anche da motivazioni antrolpologiche: nel momento in cui poniamo l’uomo  al centro della nostra attenzione lo vogliamo guardare anche nella sua interezza, l’uomo non è soltanto lavoratore, non è chiamato soltanto alla catena di montaggio e allo stress, ha bisogno di un momento di sosta che non è in funzione di un ulteriore sforzo lavorativo ma in funzione del ritrovare se stesso per ritrovare la sua identità. L’uomo comprende se stesso quando gioca, è veramente uomo quando gioca, quando si ferma, quando non è condizionato dalla catena di montaggio e da altri sistemi produttivi. In questo modo riscopre la sua vocazione che non è solo vocazione all’essere consumatore ma è anche vocazione all’essere produttore di socialità, di relazioni e di incontri. Il momento della festa è un momento domenicale è il momento dell’uomo perché si incontra se stesso, gli altri e si entra in contatto anche con i più deboli, con i più fragili che durante la settimana non si riesce ad incontrare; si incontra anche Dio, è il primo giorno dopo il sabato quando appunto la festa trionfa sulla precarietà dell’uomo, sull’insicurezza e sulla paura, anche della morte. Quindi la risposta ha una valenza profonda perché vince la vita.

Quali sono le possibili soluzioni?
Bisogna partire dalla bellezza: partiamo dal fatto che viviamo un momento di crisi, ma la crisi significa trasformazione e cambiamento e forse il primo cambiamento è proprio sulla nostra missione, sulla missione dell’uomo, della persona e anche della vita sociale. L’uomo non è fatto solamente per produrre e per accaparrare; l’uomo è chiamato anche a momenti in cui le relazioni diventano importanti: la relazione con se stesso, con gli altri e con la socialità, una socialità che sia diffusa, come in passato lo era quella che noi chiamavamo vicinato sociale, l’incontro tra le generazioni. Per questo c’è bisogno di un momento di sosta e di pausa per non essere incatenati al produrre e al vendere a tutti i costi e dare spazio a quella lentezza che ci fa ritrovare anche uno stile di vita sobrio, una sobrietà gioiosa. In questo modo la crisi non fa più paura; il CENSIS, che è un organismo politico sociale molto interessante, dice che per vincere la crisi bisogna partire dalla bellezza e la bellezza si sperimenta dalla gratuità delle relazioni nell’incontro tra le persone, quindi la festa è il recupero della bellezza che a volte viene perduta dalla schiavitù del lavoro.

Cosa può fare la Chiesa per risolvere questo problema?
La Chiesa ha un compito grande: custodire; tutti i documenti dei nostri vescovi parlano di custodia della domenica. Se custodiremo la domenica, custodiremo l’uomo, se custodiremo il significato profondo della domenica non solo il significato religioso ma anche antropologico e sociale allora custodiremo l’uomo. Una riflessione importante ci è offerta dalla favola della formica e della cicala che tutti conosciamo, possiamo riflettere sul rapporto che questa favola esprime tra l’otium e il negotium, tra il dedicare parte del proprio tempo al riposo, alla quiete, al godere di un ambiente e alle arti liberali che ti impegnano ma non ti stressano, ti riempiono ma nello stesso tempo ti liberano, appunto l’otium, e l’indaffararsi dalla mattina alla sera per accumulare e possedere sempre di più, il negotium. Questa favola fa riflettere sul significato del tempo, la festa è ridotta soltanto alle feste patronali, alle rievocazioni storiche e civili, invece il tempo della festa è il tempo dell’uomo che vuole essere liberato da una serie di preoccupazioni, è il momento dell’homo ludens che mette da parte l’homo faber, concetto che ha un significato molto profondo, perché il tempo libero deve essere visto come un’occasione per la crescita dell’uomo e della sua valorizzazione. Il tempo appartiene a Dio, il fine ultimo dell’uomo non è la fatica ma la festa, la gioia nello stare con l’altro, nel condividere e nel donarsi. In questo senso io sono dalla parte della cicala.

Molto significative alcune riflessioni proposte dai relatori, durante l’incontro, sui centri commerciali diventati dei non luoghi dove le persone transitano, si ammassano, comprano e poi sparisono; apparentemente sembra un luogo di aggregazione e di socialità e invece è un luogo di dispersione e di frantumazione. Si dovrebbe cercare di recuperare le attività economiche e commerciali sparse nel territorio come le piccole botteghe in cui si crea questa socialità, l’incontro tra le persone, e quindi si recupera anche il senso di far festa. La riconsiderazione del sistema commerciale non è dettata solo da una motivazione religiosa: quando diciamo che il giorno di Dio è il giorno dell’uomo diciamo che oltre al celebrare, al cantare e al lodare Dio dobbiamo anche salvaguardare la dignità dell’uomo attraverso  questa rete di incontri e amicizie. Per quanto riguarda le aperture domenicali è stato detto che non è stato rilevato alcun aumento del fatturato, del PIL, insomma non vi sono vantaggi economici particolari da questa condotta. E’ una battaglia impari ma come tutte le battaglie etiche e di valore ne vale la pena  per riscoprire ciò che conta veramente nella vita.

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