Di Gianni Borsa

Punto primo: sensibilizzare le singole coscienze e l’opinione pubblica. Punto secondo: organizzarsi e agire per coinvolgere attivamente almeno un milione di cittadini. Punto terzo: seguire gli sviluppi della proposta in sede istituzionale. Sono le tre fasi che deve attraversare ciascuna “Iniziativa dei cittadini europei” (Ice), nuovo istituto di partecipazione democratica predisposto dal Trattato di Lisbona ed entrato in vigore un anno fa, il 1° aprile 2012.
In pratica si dà l’opportunità ai cittadini dei Paesi membri di chiedere all’Unione europea, dopo aver raccolto almeno un milione di firme (denominate “dichiarazioni di sostegno”), una legge comunitaria inerente materie di sua competenza. Attualmente sono una quindicina le Ice attivate, che spaziano dalla difesa dell’ambiente alla qualità dell’istruzione, dal valore pubblico dell’acqua alla – più nota – “Uno di noi”, per la difesa dell’embrione umano, sostenuta da una vasta gamma di soggetti pro-life diffusi in tutto il continente. Altre Ice, invece, sono state respinte prima di giungere alla fase organizzativa e di raccolta delle sottoscrizioni, soprattutto perché incentrate su temi al di fuori della sfera Ue. L’interfaccia istituzionale per un Comitato promotore di un’iniziativa è la Commissione europea.
Va rilevato come questa modalità predisposta per far risuonare la voce dei cittadini nelle sedi istituzionali di Bruxelles e Strasburgo stia muovendo non poche energie “di base”; in tal senso la mobilitazione a favore di “Uno di noi” (“One of us” nella versione inglese; www.oneofus.eu) si può ben considerare in pole position. A seconda dei Paesi, si sta puntando alla raccolta di firme con banchetti e gazebo nelle piazze delle città, all’uscita di messa, nei ritrovi giovanili, a margine di convegni di associazioni laicali. Si tenta anche di non limitare il campo di azione alle realtà confessionali, perché ovviamente la vita è patrimonio universale. Ma, oltre alla raccolta di sottoscrizioni su moduli cartacei, è prevista quella on line: quindi anche il web diventa “amico della vita”, e mediante internet si trova una infinità di materiali esplicativi di questa Ice.
Detto questo, occorre però considerare che il milione di firme è solo un “traguardo volante” per condurre fino in fondo l’impegno a tutela dell’embrione. E ciò per vari motivi. Anzitutto bisogna ricordare che gli stessi promotori dell’iniziativa fanno riferimento – come è necessario – alle esclusive materie comunitarie: “Uno di noi” è intesa “a estendere la protezione giuridica della dignità, del diritto alla vita e dell’integrità di ogni essere umano fin dal concepimento in tutte le aree di competenza dell’Ue”. Essa domanda in particolare all’Ue di “porre fine al finanziamento di attività che presuppongono la distruzione di embrioni umani nei settori della ricerca, nei programmi di riduzione delle nascite e nella pratiche di sanità pubblica che presuppongono la violazione del diritto alla vita” (è fra l’altro il campo della cooperazione internazionale). Non ci si può dunque attendere, per fare un esempio, che l’Ue intervenga sulle legislazioni riguardanti le interruzioni di gravidanza in vigore nei singoli Paesi, che sono di esclusiva competenza giuridica nazionale.
In secondo luogo, occorre prestare attenzione alle procedure. Infatti non è sufficiente raccogliere indistintamente un milione di firme (entro il 1° novembre 2013), ma occorre farlo mediante criteri predefiniti per quanto riguarda la validità delle dichiarazioni di sostegno: quindi le firme passeranno al vaglio delle autorità nazionali prima di essere trasmesse a Bruxelles. Ancora: le firme devono provenire da almeno sette Paesi, rispettando quorum minimi a secondo delle dimensioni demografiche: in Germania la quota è 74.500 firme, in Francia 55.500, in Italia e Regno Unito 54.750, per scendere a 38.250 in Polonia, 15.000 in Svezia, 13.500 in Bulgaria, 4.500 a Malta…
Quando si giungerà al milione di firme “certificate”, “Uno di noi” arriverà finalmente alla Commissione, la quale incontrerà il Comitato promotore per consentire di esporre nel dettaglio le tematiche sollevate dall’Ice, che saranno presentate anche nel corso di un’audizione pubblica al Parlamento europeo. L’Esecutivo Ue avrà tre mesi di tempo per decidere e far sapere (mediante una “comunicazione” pubblica) se intende formulare un’iniziativa legislativa oppure motivare un’eventuale risposta contraria.
Se poi si dovesse effettivamente giungere a un’iniziativa legislativa della Commissione, la palla passerà nel campo del Parlamento europeo e del Consiglio Ue, che sono le due autorità legislative dell’Unione europea, le quali a loro volta potranno stabilire di legiferare secondo la richiesta dei cittadini oppure non legiferare o, anche, paradossalmente, legiferare discostandosi dalle attese dei promotori dell’Ice. Il percorso, come si vede, è lungo, ma la posta in gioco è la vita: ecco perché occorre procedere con assoluta determinazione.

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