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Papa Francesco non le manda a dire ai suoi preti: “No al carrierismo”, “siete pastori, non funzionari”, “siete mediatori, non intermediari”

Di Vincenzo Rini

Ascoltando l’insegnamento di Papa Francesco in questi ultimi giorni, in particolare domenica scorsa nell’ordinazione di alcuni sacerdoti e lunedì nella Messa a Santa Marta, mi sono tornate alla mente alcune battute scherzose circolanti negli anni lontani in cui ero seminarista. Quando si sentiva parlare di qualche sacerdote a caccia di carriera, si diceva: “Quello non lavora ‘ad majorem Dei gloriam’, ma ‘ad majorem mei gloriam’”; e anche “Quello sostituisce l’invocazione ‘Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam’ con l’altra: ‘Non nobis Domine non nobis, sed nomini meo da gloriam’”. Ricordi che testimoniano come la tentazione del carrierismo, della ricerca di sé anziché del bene della Chiesa e dei suoi figli sono sempre stati (e forse sempre saranno) presenti anche tra i ministri della Chiesa di Dio.
A distanza di poco più di un mese dall’insediamento come vescovo di Roma, Papa Francesco continua a stupirci con l’immediatezza del suo insegnamento, che non usa giri di parole, ma lancia in semplicità, senza mezzi termini, il suo messaggio innovatore. Pare proprio che, tra gli impegni che Francesco si è assunto, ci sia proprio quello di ridisegnare l’immagine del prete, non nella sua originaria missione dottrinalmente definita da sempre di pastore, maestro e ministro dei sacramenti, ma nel suo stile di vivere la missione, nel suo modo di essere a servizio della Chiesa, nella sua autocomprensione missionaria e pastorale, nonché nel suo rapporto con il mondo e le realtà di questa terra.
In questi giorni il Papa ha ricordato ai preti: siete chiamati a essere “unicamente intenti a piacere a Dio e non a voi stessi. Siete pastori, non funzionari. Siete mediatori, non intermediari”. Richiamo che va a braccetto con l’altro insegnamento: se il cristiano, il prete in particolare, è “uno che vuole fare profitto per se stesso”, uno che “vuole salire”; se nella Chiesa ci sono “questi arrampicatori” che “rubano la gloria a Gesù, vogliono la propria gloria”, questi sono da considerare “ladri e briganti”. Da condannare decisamente. Meglio ancora, chiamati a conversione, senza indugi, oggi, non domani.
Preti in ultima analisi per annunciare la Parola di Dio, non la propria, portatori della fede in mezzo al gregge. Che con il gregge, con i fedeli, condividono in pienezza la vita, in stile “umile, povero, mite, giusto”. Viventi in mezzo al gregge, al punto da portare in sé stessi “l’odore delle pecore”. Odore che non va d’accordo con la ricerca del successo personale, con la voglia di salire, con l’esibizione del proprio potere “sopra” il gregge. Odore che si acquisisce, di cui ci s’imbeve, solo stando in mezzo al gregge giorno dopo giorno, condividendone gioie e dolori, fatiche e speranze, come suggeriva sapientemente il Concilio Vaticano II nella “Gaudium et Spes”. Insomma, i preti di Cristo, i preti del Vaticano II, i preti di Papa Francesco – senza dimenticare gli altri Papi, a partire da Benedetto XVI – sono quelli che faticano in mezzo alla comunità, giorno e notte, senza badare ai propri interessi, al proprio successo, alla carriera. I vicini di casa della propria gente, che dei loro fedeli conoscono il nome e la vita, la difficoltà di vivere e la gioia dell’amore nella famiglia.
Ricordo la regola del Seminario in cui mi sono preparato all’ordinazione, che affermava: “Si ricordino i seminaristi che sono chiamati a essere non i delicati del secolo, ma i ministri del Crocifisso”.
Per i preti, per noi sacerdoti, il richiamo del Papa si fa pressante e urgente, per una conversione permanente a beneficio personale e, ancor più, del popolo di Dio.