Di Bruno Cappato

Nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che si celebra oggi, domenica 21 aprile 2013, cerchiamo prima di tutto di entrare nelle parole, di carpirne il significato più vero e autentico. Quindi domandiamoci cos’è e cosa significa la parola vocazione. Vocazione significa semplicemente – nel senso più generale – una voce che chiama, che invita, che si fa udire da coloro che sono in ascolto. La chiamata è rivolta naturalmente a chi c’è, a chi è vivo. È per questo che la vocazione crea di per sé un collegamento tra chi chiama e chi ascolta.
Di una cosa del genere abbiamo bisogno tutti. Ognuno di noi infatti avverte la necessità di un rapporto; la solitudine, il deserto silenzioso e arido, l’anonimato indistinto sono come un annullamento del proprio essere, come una vera e propria morte.
Sentire allora una voce che chiama è stabilire una relazione e dunque questo ci dà la possibilità di renderci conto di esistere, di esserci. Una voce che chiama, che si indirizza a te e pronuncia il tuo nome, porta gioia perché ti fa scoprire una conoscenza che può essere, nell’aspettativa sognata e presagita, addirittura amore, o almeno amicizia. Comprendi – alla chiamata – di essere già conosciuto. Se nessuno ti chiama per nome è come se non ci fossi; sei niente e nessuno è in rapporto con te.
La vocazione così come la si definisce a livello nazionale per questa giornata, ha il pregio di far conoscere un’esperienza che molti hanno fatto: quella di sentirsi chiamati e quindi di esserci e di prendere coscienza della propria identità. Ancor di più la giornata rivela e fa intendere – “Progetta con Dio… Abita il futuro” – che chi chiama ci conosce e lo fa perché ci ama ed ha qualcosa da proporre: un progetto e un futuro.
Questo qualcuno è nostro Padre e il nome – il nostro – che lui pronuncia è il segno evidente di un rapporto di conoscenza, di amore; il segno di un legame profondo. Un Padre che chiama per nome già di per sé indica l’aspetto affettivo di un rapporto che apre a dolcezze d’amore, a consolazione e a gioia.
Chi ha sperimentato questa chiamata paterna ha provato tutto questo.
La vocazione diventa un incontro che apre alla conoscenza profonda di se stessi e aiuta ad avvertire, anche se in forme da sviluppare e da approfondire, il senso del cammino che si ha davanti.
È la fede che ci dà la possibilità di questa esperienza perché la fede è incontro, è rapporto e quindi noi – se riusciamo a tener desta la fiammella del credere – arriviamo a udire la voce paterna che chiama e propone, nel rispetto della libertà di ognuno ma nello stesso tempo nel bene della persona, un progetto da esplorare.
La testimonianza di chi ha fatto questo incontro, di chi ha udito la chiamata, è accompagnata dal sorriso perché quando si sa dove andare e il perché, allora il viaggio della vita diventa più gioioso e ricco di valore.
La fede che in questo anno abbiamo cercato e cerchiamo di guardare con un’attenzione tutta particolare per meglio comprendere, vivere e sperimentare è il terreno, lo spazio privilegiato nel quale risuona la vocazione, la chiamata.
Nella straordinaria e ricchissima diversità delle esperienze, dalla vita dono totale di sé, nella consacrazione o nella costruzione di un’avventura umana particolare e aperta alla vita, il dato ricorrente è comunque sempre e solo quello dell’amore.
Si può dire allora che la vocazione è l’esperienza dell’amore nella vastità immensa delle scelte; la vocazione da chiamata diviene alla fine il varco verso la realizzazione di un sogno che corrisponde al tessuto del nostro essere.
Ci sono momenti che sono chiamati di gioia, ma in realtà il cuore aspira a una gioia che non sia quella solo di un momento. Il significato di questa parola – vocazione – alla fine di un percorso interpreta un’aspirazione di fondo.
Pregare per questo? Pregare per non lasciar perdere un’esperienza così ricca e fondamentale? Ricordarsi davanti al Padre soprattutto di coloro che sono all’alba della vita e che hanno un cammino forse molto faticoso e difficile da compiere? Certamente l’amore lo chiede.

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