La Corte Suprema di New Delhi ha respinto oggi un ricorso presentato dal colosso svizzero Novartis relativo al brevetto di un medicinale anticancro, attualmente “copiato” dalle aziende farmaceutiche indiane e venduto a un prezzo di gran lunga inferiore a quello dell’originale. Secondo i giudici, il farmaco Glivec non è una “invenzione”, ma una riformulazione di un preparato contenente la stessa molecola. Reagendo negativamente alla decisione, Novartis India ha detto che “scoraggia la ricerca di farmaci innovativi, essenziale per l’avanzamento della scienza medica al servizio dei pazienti”. M.Michela Nicolais, per il Sir, ne ha parlato con Gualtiero Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto d’igiene dell’Università Cattolica di Roma e coordinatore dell’Osservatorio nazionale per la salute nelle Regioni italiane.

La decisione indiana è stata salutata, da una parte, come una vittoria per l’accesso alle cure dei malati che non possono curarsi, dall’altra come una sconfitta per la ricerca delle case farmaceutiche. Come valutare questi due giudizi opposti?
“La verità è che si sta determinando un momento di crisi nel rapporto tra la ricerca, che ormai nella stragrande maggioranza dei casi – visti i costi molti alti – è affidata ai privati, e la sanità pubblica. Se non si trova un punto d’incontro tra pubblico e privato, tra investimento e ricerca, questo scontro avrà effetti devastanti. Ne possiamo già constatare gli esiti nefasti, anche qui in Italia, nella ricerca sugli antibiotici: quelli di ultima generazione costano tantissimo e incassano poco, quindi le aziende farmaceutiche non investono in questo settore. Sono anni che non si producono antibiotici nuovi, e così molte malattie sono diventate resistenti a tutti gli antibiotici in commercio. Si tratta di dati allarmanti: esistono ormai terapie intensive che non reagiscono più a nessun tipo di antibiotico, proprio perché non si è creata una collaborazione tra il privato, che fa gli investimenti, e il pubblico che indica a quest’ultimo i bisogni della popolazione su cui occorre intervenire”.

Si tratta di uno “scontro frontale”?
“Direi proprio di sì, che porta insicurezza nell’azione, con conseguenze preoccupanti per la sanità pubblica. Non si capisce più, in altre parole, chi investirà, anche in conseguenza di una ‘sindrome protettiva’ da parte di chi questi investimenti vuole farli ma ha bisogno di cautelarsi in maniera adeguata. O si trova una nuova formula per cui ci si accorda precocemente tra pubblico e privato, oppure andiamo incontro a problemi importanti”.

La questione della brevettabilità è un tema molto delicato, anche in passato oggetto di aspri dibattiti: è accettabile la “via” dell’eliminazione dei brevetti?
“A mio avviso, si tratta di demagogia pura, che darebbe luogo a un imbarbarimento. La questione della brevettabilità delle scoperte scientifiche, a cui è collegato il tema della proprietà intellettuale, è un aspetto molto importante della ricerca. Uno dei requisiti indispensabili, in questo ambito, è la trasparenza di tutti i passaggi. Anche in passato, la richiesta rivolta alle grandi aziende era proprio di essere trasparenti in ogni fase della ricerca, a partire dalla pubblicazione dei lavori scientifici che ne documentano i risultati. La tendenza era quella a pubblicare solo gli effetti positivi e non quelli negativi delle ricerche, ma oggi l’orientamento delle aziende è sempre più quello d’imboccare la via della trasparenza, sotto tutti gli aspetti, per togliere di mezzo ogni sospetto. Tutto ciò, salvaguardando nello stesso tempo la riservatezza dei dati: recentemente, ad esempio, l’Agenzia europea del farmaco è stata citata per aver divulgato impropriamente documenti riservati”.

Il pronunciamento della Corte suprema indiana creerà un precedente, visto che oltre a Novartis sono state oggetto di “bocciatura” anche altre multinazionali farmaceutiche, come la Roche o la Bayer?
“Lo creerà, nella misura in cui si determina un atteggiamento protettivo e restrittivo, da parte delle aziende farmaceutiche, a lavorare in determinati Paesi. È già successo, ad esempio, in Sudafrica con i farmaci anti-Aids, poi si è trovato un accordo di equilibrio su alcuni punti fermi. I Paesi poveri sono i più vulnerabili a questo tipo di approccio, e il rischio di una sorta di ‘ghettizzazione’ dovuta alla scelta, da parte di chi investe, di non lavorare in quelle aree è in agguato. L’India, però, è un Paese diverso: è in via di sviluppo, con alcuni distretti – come quello della produzione di farmaci generici – potentissimi. Per questo quella che si presenta è una situazione nuova, che richiede di essere affrontata con strategie originali, che facciano leva il più possibile su una collaborazione tra pubblico e privato”.

Le case farmaceutiche sono spesso nel mirino per il costo, a volte esorbitante, dei farmaci: come coniugare la logica del profitto con quella della tutela della salute, soprattutto delle minoranze?
“È proprio questa la sfida principale da raccogliere, anzitutto da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità: trovare un equilibrio tra le legittime aspirazioni di chi attende un ritorno dagli investimenti effettuati, e le reali domande della popolazione in termini di diritto alla salute. Finché si continuerà nella logica dell’uno contro l’altro, non si andrà da nessuna parte: i privati, da una parte, devono orientare in senso etico la ricerca, mentre la sanità pubblica, dall’altra, deve garantire il giusto rientro degli investimenti”.

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