DIOCESI – Pubblichiamo le parole del nostro Vescovo Gervasio Gestori per la Messa Crismale, clicca qui per rivedere l’articolo: “Carissimi fratelli presbiteri e diaconi, sorelle e fratelli nel Signore, questa giornata è particolarmente nostra, di noi ordinati, e questa santa Eucaristia ci appartiene in modo speciale. L’istituzione del sacerdozio ministeriale, avvenuta la sera dell’ultima cena, quando Gesù disse agli apostoli: “Fate questo in memoria di me”, non può ridursi al pio ricordo di un evento lontano. Rivivere questi eventi in modo più intenso è il sereno ritorno alle nostre origini, è il coraggioso andare alla sorgente di quello che siamo, è la volontà di mantenere viva la piena coscienza della propria identità.

Lasciamoci aiutare dalle letture appena ascoltate.

Risento le parole del profeta Isaia, riprese da Gesù nella sinagoga di Nazaret: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri…per consolare tutti gli afflitti”.

Carissimi confratelli,
noi siamo stati chiamati un giorno dallo Spirito del Signore, quando abbiamo avuto la consapevolezza chiara della nostra vocazione a servire il Popolo santo di Dio nel ministero ordinato e quando abbiamo liberamente detto il nostro “sì” al Signore ed alla sua Chiesa.
Consacrati con una santa unzione durante il rito dell’Ordinazione presbiterale, abbiamo ricevuto l’indice di precisi mandati: messaggio di gioia per i poveri; cura di tante ferite dei cuori; esistenza di una possibile liberazione per quanti sono schiavi di idoli e di vizi, antichi e nuovi; assicurazione che non c’è prigionia spirituale che tenga, perché le carceri delle anime sono state aperte dalla croce di Cristo; consolazione per chi sta vivendo nella tristezza e nella depressione.
Quale alta missione ci è stata affidata! Dobbiamo giustamente rimanere stupiti per gli impegni che scaturiscono da questa consacrazione, capace di donare anche una pienezza umana alle nostre giornate e un gusto oggettivo alle nostre fatiche pastorali.

Anche le parole dell’apostolo Giovanni, ascoltate nella seconda lettura dall’Apocalisse, ci danno fiducia: Cristo “ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza”.
Noi siamo partecipi di un regno glorioso e potente, siamo una schiera di gente libera e regale, siamo persone amate dal principe dei re della terra. C’è da commuoversi per queste definizioni della nostra povera natura umana e c’è da sentirsi umilmente orgogliosi del destino che appartiene alle nostre persone.

Mi vengono alla mente le parole di papa Francesco, quando nella Cappella Sistina, parlando a braccio, con la sapienza del cuore, disse ai fratelli Cardinali, che l’avevano appena eletto Pontefice, di non lasciarsi prendere dal pessimismo: “Siate ottimisti – disse – siate positivi!”.
Anch’io vorrei ripetere a me e a tutti voi: “Siamo ottimisti! Non lasciamoci prendere dallo scoraggiamento! La tristezza spirituale non occupi tante nostre serate! Non sia stanco il cuore, anche se le membra del corpo arrivano sfinite al termine di una giornata piena!” La gioia di essere parte di un regno costruito con il sangue di Cristo, l’essere chiamati a servire da re nella Chiesa del Signore, è motivo per tutti noi di spirituale energia, di sana soddisfazione, di umile rendimento di grazie al Signore. Se anche le prove non mancano e si abbattono apparentemente gagliarde in alcuni momenti, quasi a voler scardinare la nostra identità ministeriale, esse nulla possono in confronto con la potenza dei misteri che ci sono stati donati, con la meraviglia dell’essere partecipi di un regno, con la dignità di vivere un ministero di servizio di amore verso le persone redente da Gesù.

Mi hanno colpito le semplici parole dette ai Cardinali nella sua prima omelia da papa Francesco: occorre camminare, edificare, confessare. Camminare con la Croce, edificare mediante la Croce, confessare la Croce, perché non si è discepoli di Cristo senza la Croce. Ed aggiungeva una espressione fortissima, presa da Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. E cioè: chi non si mette al servizio totale di Dio e conserva nel cuore qualche idolo, diventa schiavo del demonio. Con non poca meraviglia dei presenti aggiungeva che questa schiavitù era possibile anche tra i cardinali, per il papa, tra i sacerdoti e gli altri ministri ordinati.

Fortunatamente la nostra Chiesa gode di preti meravigliosi, che sanno abbattere i possibili idoli e vincere le attrattive di una cultura ridicola e inconsistente. Essi hanno il dono di limitarsi a “guardare”, mai di toccare, mai di “divorare la bellezza”, direbbe Simone Weil. Vi sono preti stupendi, cui è concesso di amare con tenerezza, mai di brigare per essere amati o desiderati. Preti utili a tanti, unici per nessuno. Preti, a cui la gente spalanca la propria vita, sì, ma questa non appartiene a loro: devono solo servirla (Crf. F. Scalia, Presbyteri,2013, 3, p.170).

Quanto è consolante vedere preti così, preti-servi. Essi sono la prima preziosa ricchezza della nostra Chiesa, essi garantiscono il sereno futuro della fede nelle comunità. E quanto giustamente sono amati questi veri preti di Cristo!

 

Carissimi,

la fraternità presbiterale è definita dal Concilio come “sacramentale”. La comunione tra i sacerdoti non è opzionale, non è soltanto una affettività suggerita dalla umana simpatia, ma è un legame fondato sul sacramento dell’Ordine, sulla viva persona di Cristo, che ci unisce a sé e tra noi, per dare identità al nostro essere ed al nostro agire.

Coltiviamo dunque le buone relazioni tra preti, tra confratelli giovani e meno, vivendo la bellezza di tanti momenti di vita quotidiana, ricchi di sana umanità. Questi momenti fraterni fanno tanto bene e sono una forte testimonianza di evangelizzazione per la nostra gente.

Questi legami abbattono il virus della chiusura individualistica, che ruba la gioia dell’essere prete e del partecipare alla vita della comunità presbiterale. La sana amicizia tra preti è l’ottimo antidoto per giornate tentate dalla tristezza e negli impegni pastorali pieni di aridità.

Non mancano esempi positivi nel nostro presbiterio, come quello della Unione Apostolica del Clero. Incoraggio fortemente questo per il bene delle nostre persone e per l’edificazione delle nostre comunità.

La proposta vale anche per i nostri fratelli diaconi. Dice il loro Direttorio: “(Si ritiene) di particolare importanza per i diaconi, chiamati ad essere uomini di comunione e di servizio, la capacità di relazione con gli altri. Ciò esige che essi siano affabili, ospitali, sinceri nelle parole e nel cuore, capaci di offrire personalmente e di suscitare in tutti rapporti schietti e fraterni, pronti a comprendere, perdonare e consolare” (n.67).

Abbiamo tutti qualche passo da compiere per rimanere fedeli alla nostra alta chiamata e per essere punti di riferimento chiaro per i nostri fedeli laici.

Papa Francesco già ci sta donando una gioiosa speranza e ci sprona nell’amare intensamente questa nostra Chiesa.

Vorrei concludere con gli auguri per chi ricorda quest’anno alcuni anniversari particolari:
P.Lino Tartarelli, frate minore di Grottammare, ricorda 65 anni di sacerdozio.
Ricordano il giubileo d’oro Mons. Giovanni Flamini, P. Aldo Alberoni, frate minore di Grottammare, e P. Giuliano Del Medico, agostiniano.
Festeggiano 40 anni di sacerdozio P. Silvano Nicoli, sacramentino, e P. Nazzareno Rapetta, frate conventuale.

Infine, don Lanfranco Iachetti ricorda i 25 anni della sua ordinazione.

A questi confratelli i nostri migliori auguri e le nostre cordiali preghiere.

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