“Un Papa fermo sui problemi sociali e sulla dottrina” ma contemporaneamente “molto aperto”: è l’idea che l’antropologo francese Marc Augé si è fatto del nuovo pontefice. A margine del II Forum nazionale di etica applicata “Per un’etica civile. Idee, proposte e pratiche per una nuova convivialità”, che si è svolto a Padova nei giorni scorsi su iniziativa della Fondazione Lanza, Simona Mengascini per il Sir ha intervistato l’inventore dei “non luoghi”.

Lei ha coniato il termine “non-luoghi” (aeroporti, centri commerciali, periferie urbane e altro ancora): è pensabile che l’invito del nuovo Papa, preso “quasi alla fine del modo”, di “portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra” sia estendibile a questi spazi? 
“È molto strano parlare dell’Argentina come la fine del mondo perché sono spesso in quel Paese e posso affermare che non si sente in questo modo! Possiamo interrogarci sull’elezione di un Papa argentino e di questo Papa in particolare: secondo il mio parere hanno scelto un soldato di Cristo, un gesuita che avrà tra i suoi compiti quello di lottare contro l’influenza degli evangelici, dei pentecostali che sono numerosi nell’America Latina e si stanno diffondendo nel mondo; ritengo che sarà un Papa molto fermo sui problemi sociali e della dottrina, ma molto aperto sul piano sociale per combattere sullo stesso terreno degli evangelici, ma la mia è un’ipotesi. Rispetto alla questione luoghi-non luoghi nella mia concezione tutti gli spazi della società vanno considerati dei luoghi”.

Lei ha affermato che la definizione di non luoghi è in un certo senso “sfuggita” al suo controllo: come li definirebbe ora esattamente?
“Questa categoria è stata utilizzata da persone in discipline diverse – architettura, urbanistica, … – perché significava qualche cosa. La nozione ha funzionato come se fosse un sintomo. La domanda oggi potrebbe essere: sintomo di che cosa? Questa definizione per me non è mai cambiata, è lo spazio dove non possiamo eleggere relazioni sociali e mi chiedo cosa dice agli architetti, agli artisti, ai letterati, ai romanzieri: perché parla questa nozione? Ciò che mi ha condotto alla definizione dei non luoghi è l’estensione e la proliferazione di alcuni spazi della nostra mobilità, spazi di circolazione, autostrade, vie aree, la dilatazione degli spazi di consumo, degli spazi di comunicazione di cui conosciamo gli sviluppi attuali. Quando ho utilizzato il termine di non luoghi volevo farlo in modo innocente per distinguere questi nuovi spazi dai luoghi che sono stati studiati tradizionalmente dagli antropologi, ad esempio il villaggio e la piazza”.

I media, per come si sono sviluppati oggi, contribuiscono a creare questi non luoghi o al contrario possono favorire i contatti e umanizzarli?
“È una questione molto complicata perché i media si situano nel campo della comunicazione, e la comunicazione non è relazione. La comunicazione può aiutare a vincere la solitudine ma anche crearla. Internet, la nozione di social network sono problematici e sto cercando di interrogarmi su questa dimensione, perché c’è il paradosso che gli strumenti che ci mettono in relazione gli uni con gli altri possono anche essere delle illusioni o vendere illusioni. Abbiamo esempi di solitudine accresciuta da questi media: il segreto è considerarli come dei mezzi e non come dei fini”.

Durante il convegno si è riflettuto sull’etica applicata al bene comune e alle buone prassi: è davvero possibile invertire la deriva individualista della nostra società?
“Dobbiamo assumere una posizione modesta e provare a lavorare localmente perché globalmente ignoriamo spazio e tempo, le parole d’ordine sembrano essere, oggi, ubiquità e istantaneità. Tutto ciò che ci aiuta a riprendere il contatto con lo spazio e il tempo è buono perché le relazioni sociali sono fatte di spazio e tempo. In questo processo ci aiuta la formazione, l’educazione ma anche, a volte, una semplice passeggiata”.

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