di Giovanna Pasqualin Traversa

L’auspicio che “cresca la coscienza comune della dignità di ogni essere umano e sia promosso e garantito in modo adeguato il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti e le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità”. Ad esprimerlo è monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, nel saluto ai partecipanti all’incontro di presentazione della “Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale” tenutosi presso l’Università cattolica di Roma. Nel messaggio, letto da don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute, il presule avverte che a fronte di “un’accresciuta sensibilità e attenzione per le persone disabili”, non si può “considerare ancora sufficiente l’attuazione concreta” dei loro diritti. Di qui.

Rimuovere le limitazioni. La “Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale” è stata realizzata dalla cooperativa sociale “Spes contra spem”, affiancata da un apposito comitato scientifico, sulla falsariga della “Carta europea dei diritti del malato” per sottolineare, spiega Nicola Panocchia, dirigente medico del Policlinico “Agostino Gemelli” che per primo l’ha adottata, che “non esistono diritti speciali per le persone con disabilità, ma le loro limitazioni hanno bisogno di strumenti e percorsi adeguati per essere rimosse”. Suddivisa in 14 articoli (accesso in ospedale, standard delle cure, sicurezza e diritti come utenti dei servizi), la Carta afferma la necessità di maggiori bisogni di mediazione, empatia, privacy delle persone con disabilità; distingue tra disabilità e malattia; sottolinea la necessità della formazione del personale medico e infermieristico. Il documento, conclude Panocchia, intende “garantire il diritto alla salute previsto dall’articolo 32 della Costituzione italiana e dall’art. 25 della Convenzione Onu sui disabili”.

Speranza che costruisce. “È il tentativo di trasformare una storia triste in speranza; la speranza che da vent’anni ci anima – spes contra spem come il nome della nostra cooperativa, nata a Roma nel 1991 per accogliere persone con disabilità e minori a rischio – e che vince le difficoltà, guarda lontano e costruisce”. Parole del presidente Luigi Vittorio Berliri, che evoca la toccante storia di Tiziana, “ragazza disabile accolta nella casa famiglia Casablu”, ricoverata nel 2004 in ospedale per una banale influenza e morta di polmonite, “sola e inascoltata”, a causa delle sue difficoltà a esprimersi, perché chi si prendeva cura di lei poteva entrare solo negli orari di visita. Per Maria Luisa Di Pietro, docente di medicina legale alla Cattolica, la Carta manifesta “grande attenzione nei confronti della fragilità umana e costituisce uno stimolo a riflettere sul significato della cura”. “Il prendersi cura – spiega – muove dalla visione del bisogno dell’altro e del suo riconoscimento”. Fondamento ne è la “dignità della persona umana, che non è un diritto, bensì un valore assoluto intrinseco all’esistenza stessa che nulla può intaccare”.

Un cambio di paradigma. Livia Terracina, giovane donna presente in sala e affetta da tetraparesi spastico-distonica che le causa gravi problemi motori e la necessità di aiuto permanente, affida la propria testimonianza a un intervento letto da altri e che rivela gli ostacoli per una persona disabile bisognosa di trattamenti sanitari. Dalla difficoltà di farsi comprendere o di sottoporsi a semplici accertamenti, all’essere oggetto di anestesie totali anziché locali anche per banali interventi chirurgici . Da Livia precise richieste: “Valutare caso per caso e personalizzare al massimo terapie e percorsi diagnostici, essere assistiti da chi si conosce” e “ricevere un trattamento dignitoso”. A dire stop a discriminazione e paternalismo, e a chiedere “un cambio di paradigma senza se e senza ma”, è Pietro Barbieri, presidente Fish. La Carta, afferma, è “una sfida lanciata al Gemelli che l’ha accolta, ma dovrà trovare spazi su tutto il territorio nazionale per arrivare non solo a garantire i diritti delle persone con disabilità, ma ad una rimodulazione complessiva del sistema sanitario del Paese”. Serafino Corti (Fondazione Istituto ospedaliero di Sospiro – Cremona) sottolinea l’importanza di “educare i disabili a scegliere in base al principio della ‘partecipazione parziale’” e di “entrare in sintonia con il loro linguaggio, i loro valori e aspettative”. Filippo Ghelma, responsabile del progetto Dama (Disabled advanced medical assistance) presso l’ospedale S. Paolo di Milano, che segue più di 4.600 pazienti con grave disabilità intellettiva e neuromotoria, ne propone il “modello che negli anni riesce a mantenere bassi i numeri del Pronto soccorso e dei ricoveri ordinari attraverso un approccio multidisciplinare e che contempla un successivio accurato follow up da parte di sanitari e volontari. “Questo – sostiene – fa la differenza tra assistere e accogliere”. Tra le attività messe in campo dal Policlinico Gemelli per soddisfare le istanze contenute nella Carta: modifiche e adeguamenti strutturali, informazioni di supporto ai disabili, introduzione dell’educazione alla disabilità nei percorsi universitari e di formazione del personale sanitario, inclusione delle persone con disabilità in materia di sorveglianza sanitaria.

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