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Quale futuro? Abbiamo votato l’ingovernabilità

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ITALIA – Al termine dello spoglio delle schede, a risultati acquisiti, dopo aver ascoltato tutti i
possibili commenti televisivi e vagabondato in internet alla ricerca di qualche esultanza locale, ho preferito dormirci sopra, prima di scrivere, per evitare di arricchire il vocabolario delle insulsaggini, quando in uno stato di amarezza si cerca qualche granello di zucchero in fondo alla tazza.
Ho fatto appello ai tanti detti popolari, tavor di saggezza, per prendere sonno. Ne
ho trovati tanti, anche salaci a mo’ di boomerang di chi per far dispetto è ricorso a
misure drastiche. Nel sonno agitato ho ripercorso i tanti anni di militanza politica e
nel risveglio una patetica conclusione: “Dopo sessant’anni di democrazia, si è
giunti a rendere ingovernabile l’Italia.
In una campagna elettorale fatta di chiasso, senza un confronto serio, senza programmi, solo con promesse anche assurde, che hanno fatto leva più sugli umori che sull’intelligenza dei cittadini, il risultato non poteva che essere quello che è stato ottenuto.
Nella storia “i vuoti” di potere sono stati sempre pericolosi ed hanno dato seguito
a catastrofi.
Oggi anche noi, se non ci fosse il Presidente della Repubblica, dovremmo dire che siamo di fronte ad un “vuoto” di potere per riempire il quale dovremmo precipitosamente ritornare alle urne, come molti sostengono.
E’ la stessa situazione in cui si è trovata la Grecia, col rischio di sommosse per promesse non mantenute.
Si spera che se non proprio il discernimento, almeno l’amor di patria faccia leva sui gruppi politici e sugli eletti, affinché questo futuro ci venga risparmiato.

Nonostante tutto le possibilità di incontro ci sono.
Se il popolo ha votato così è perché vuole una politica di giustizia senza prevaricazioni.
C’è bisogno di una politica basata sull’umiltà, su esempi nobili, sul ritorno ai veri valori che tengono conto in modo particolare del bene comune.
Purtroppo è venuta meno la tenuta delle Scuole di Dottrina Sociale Cristiana, dopo che alcuni decenni fa, il fervore postsessantottino ne aveva suscitato l’esigenza.
Non bastano i fuochi fatui che si accendono qua e là, occorre qualcosa di serio e continuativo.
Non si può governare una nazione sul filo degli slogan.
Nel loro campo specifico (elaborazione delle leggi, attività di governo e controllo su di essa), gli eletti devono impegnarsi nella ricerca e nell’attuazione di ciò che può giovare al buon andamento della convivenza civile nel suo complesso.
L’obbligo dei governanti di rispondere ai governati non implica affatto che i rappresentanti siano semplici agenti passivi degli elettori.
Il controllo esercitato dai cittadini, infatti, non esclude la necessaria libertà di cui gli eletti devono godere nello svolgimento del loro mandato in relazione agli obiettivi da perseguire: questi non dipendono esclusivamente da interessi di parte,
ma in misura molto maggiore dalla funzione di sintesi e di mediazione in vista del
bene comune, che costituisce una delle finalità essenziali e irrinunciabili dell’autorità politica. (DSC n. 409)