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Sulla soglia della storia

Di Cristina Dobner
La nostra civiltà (o a-civiltà) delle porte blindate, dei circuiti di telecamere che ci osservano in ogni mossa e in ogni passo, fa fatica a entrare nel mondo dei simboli, a decrittarli e a leggerli in un contesto vitale, quello che penetra nel profondo di noi stessi e si sperimenta come respiro.
Il portone del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo si è chiuso e non ci sono gli instancabili occhi delle videocamere a scrutare quanto avviene al di là. Sia un portone massiccio, sia una piccola porticina, il messaggio è chiaro: un di qua e un di là, fondamentalmente diversi e resi, almeno temporaneamente, inaccessibili l’uno all’altro.
Il Papa ne ha varcata la soglia in piena consapevolezza, la sua vita ha acquisito una dimensione diversa, inedita, anche per lui che, indubbiamente, da tempo, se ne andava assuefando.
La chiusura non implica e vuole dimostrare il rifiuto, l’allontanamento, la creazione di uno spazio proprio, personale, in cui nessuno possa mettere il naso. Segnala ben altro: l’inizio di una vita che vuole portare in sé la Parola, rimanerne sempre in ascolto, avendo lasciato cadere il quotidiano servizio di governo a favore della Chiesa e dell’umanità, senza per questo scrollarsene il peso, perché il nesso profondo mai si potrà spezzare.
Non può essere messaggio di tristezza perché ci si dice: “È finita!”. Indubbiamente rimane il sapore di una lontananza che, però, proprio perché non ha preso le distanze ma ha acquisito una forma diversa, accentua il sapore della vicinanza più piena, nel grembo di quella fede che papa Benedetto ha insegnato a ricercare e a custodire.
L’antropologia ci ha fatto conoscere, nelle tradizioni di tanti popoli, come il commiato dalla storia di un capo anziano, avvenga per decisione propria, quando abbia riconosciuto nella propria debolezza e stanchezza legate all’età, che il proprio compito verso chi gli è stato affidato, si è concluso ed è giunto il momento di voltare le spalle e iniziare l’ultimo tratto di vita, prima di ricongiungersi agli antenati.
Benedetto XVI ha mosso un passo stanco ma non abbandonato, deciso nella mitezza che caratterizza la sua persona, perché è sorretto dalla fiducia nella comunione amorosa con Dio che si riversa su tutti nel dono della preghiera.
Se vogliamo affidarci alle immagini del nostro tempo e all’intuizione di un grande scrittore come Tolkien, possiamo riportarci agli ultimi fotogrammi de “Il Signore degli Anelli”: la pace è ristabilita, la vita presenta nuove speranze e nuove certezze, anche Frodo potrebbe goderne. Eppure nel suo sguardo si legge un’altra decisione che si trasmette nei suoi gesti: con semplicità, il ragazzo sale sulla nave che lentamente si dissolve, percorrendo quel mare che è l’Infinito. All’incontro con il Volto di Colui che ha creato le persone umane e ha guidato la loro storia.
Le vele si spiegano perché chi rimane e sta dinnanzi al Padre, è sempre dinanzi a tutti i fratelli e le sorelle, come aiuto nascosto e silente, ma non per questo irreale o fantasioso.
Passare da una vita regolata da udienze pubbliche e private, messaggi, incontri, affari di governo sempre impellenti e di drammatica importanza, al regno della solitudine e del silenzio, se è affascinante, è e rimane anche dolente, perché il carico s’ispessisce e il desiderio di un’ubiquità orante esige dalla persona la dedizione totale.
Benedetto XVI non si attende la traversata di una baia in una splendente giornata estiva, con la barca che fila e frange le onde, sa bene che sarà “rematore”, incatenato al legno non come i condannati con violenza e forza, ma per quell’amore che sa remare contro le insidie del male, che sa lasciarsi legare come Isacco, che sa lasciarsi volontariamente crocifiggere come Gesù.
Ci sarà vicino ma dobbiamo anche starGli vicino, aiutarlo a muovere gli ultimi passi di quella tappa di “pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio su questa terra”.
La bianca veste che continuerà a portare richiama alla mente la poesia di Rilke “Il cigno”:

L’aspra fatica d’avanzare a stento,
come stretti da ceppi, entro la vita
in divenire – somiglia all’informe
muover del cigno a nuoto in su l’avvìo:
e l’agonia – questo mancar del fondo
ove poggiamo quotidianamente
al suo trepido scendere nell’acque
che l’accolgon benigne e si ritraggono
sotto di lui, quasi mancando in giòlito,
mentre il cigno silente s’abbandona
securo sempre più, sempre più placido,
e in sua regalità sui flutti incede.
Regalità che non è appannaggio di sangue blu, di aristocratica stirpe, ma trasparenza al volere di Dio, consegna di sé perché sulle acque della creazione, aleggia quell’uccello che con le sue ali custodisce il nido e i suoi piccoli. Lo Spirito che, in quella creazione continua che è la storia, custodisce e anima.
Per questo, quando il portone del Conclave si chiuderà, non sbatterà fuori la storia e l’umanità, ma la custodirà come l’uccello volteggiante e noi saremo certi che il nostro nuovo Papa, chiunque esso sia, ci sarà donato dallo Spirito Creatore.