Immagine di repertorio sulla scuola

ITALIAAllarme bullismo. Non è una cosa nuova, poiché da anni, ormai, soprattutto le istituzioni scolastiche, hanno ben presente la consistenza del problema e si danno da fare per affrontarlo, tuttavia non possono non colpire i dati che vengono da uno studio americano – della Duke University di Durham (Carolina del Nord) – che si è occupato, in particolare, delle conseguenze a lungo termine.
Lo studio, svolto su 1.420 ragazzi dai 9 ai 13 anni, monitorati fino all’età adulta, segnala, in estrema sintesi, come le vittime di atti di bullismo siano più soggette, con il passare degli anni, a svariati disturbi psichiatrici, dall’ansia alla depressione, agli attacchi di panico. Per alcuni, poi, ci sono i pensieri suicidi. Al di là dei danni “immediati” e facilmente evidenti, attribuibili ai fenomeni di bullismo – sia nelle vittime, sia nei “carnefici” – bisogna dunque considerare le conseguenze, che durano anche quando, crescendo, non si è più vittime dei bulli.
Lo studio americano conferma la necessità di un’attenzione speciale a un fenomeno “pesante” se è vero – come conferma uno studio recente della Società italiana di pediatria – che quasi la metà dei ragazzini (il 45,5%) ha assistito a episodi di bullismo, e oltre uno su tre (34,2%) li ha subiti personalmente o conosce qualcuno che ne è stato vittima attraverso internet. A questo proposito, un’altra ricerca, condotta su 2.419 adolescenti dall’Osservatorio Open eyes, di cui fa parte anche il ministero della Pubblica istruzione e diffusa qualche mese fa proprio in un convegno del Miur sul cyberbullismo, segnala che uno studente italiano su 4 compie o subisce atti di prevaricazione via web: il 26% di ragazzi ne è vittima, mentre il 23,5% si definirebbe cyberbullo. Tra le pratiche di questo fenomeno, legato in particolare ai nuovi media, ci sono i messaggi violenti o volgari, la denigrazione con la diffusione in Rete o via sms di contenuti offensivi per danneggiare la reputazione, la creazione di profili fittizi con il nome della vittima per danneggiarla, l’esclusione della vittima dai gruppi di amici.
Come contrastare un fenomeno simile?
Da tempo è soprattutto la scuola in prima fila, con moltissime iniziative nei diversi istituti scolastici e anche con progetti sostenuti a livello nazionale.
La parola d’ordine è “educare”, costruire cioè percorsi di conoscenza e relazioni che possano prevenire fenomeni di devianza. Un’altra parola d’ordine è collaborazione. In particolare tra scuola e famiglia, cosa che in verità non è per niente scontata. I dati del ministero segnalano, ad esempio, che negli ultimi anni i contenziosi tra genitori e insegnanti sono aumentati del 1.300%. In tantissima casi, dunque, famiglie e scuola non si parlano più, consegnandosi reciprocamente a situazioni di difficoltà e isolamento.
Ecco, questo è invece un nodo decisivo che tra l’altro va ben oltre la stessa emergenza bullismo: ricostruire l’alleanza educativa tra scuola e famiglia – ma bisognerebbe ragionare in termini più ampi, ricordando le molte agenzie educative sui territori, da coordinare come peraltro avviene in molte buone pratiche in atto – è importante e necessario. Non soltanto per correre dietro alle emergenze, ma per costruire un ricco tessuto di relazioni e promuovere una sempre maggiore consapevolezza della cura, che si traduce nella costruzione di ambienti di benessere, reale ed efficace prevenzione.

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