Di Alessandro Ribeca

Ieri ho avuto un incubo: i miei figli, ormai trentenni, avevano un cimelio del meteorite caduto in Russia qualche giorno fa e mi chiedevano: ‹‹a quei tempi, avevamo due e quattro anni. C’era ancora la possibilità di cambiare il mondo: tu cosa hai fatto? Sei stato a fissar le stelle?››

Ho sempre percepito il periodo pre elettorale come un momento di confronto, di speranza, di sogni realizzabili, di opportunità e soprattutto di cambiamento. Questa volta non ce la faccio: sono deluso.  La crisi, la disoccupazione, la paura di un futuro incerto non hanno ancora cambiato né elettori né candidati. Parole, quest’ultime (elettori e candidati), che ormai sembrano contraddire il loro significato originale.

Gli elettori, infatti, dovrebbero e-leggere, cioè cogliere la realtà delle cose e saper separare ciò che è buono da ciò che non lo è. “Eleggere” ha la stessa etimologia di “intelligenza” e infatti per eleggere occorre intelletto, cioè occorre andare a fondo, andare dentro alle cose e comprendere la realtà. Ecco quindi che, forse, come elettori ci manca questo impegno, questo desiderio di uscire dall’analfabetismo della realtà per cogliere gli aspetti sostanziali della nostra vita.
Poi c’è la parola “candidato” che dovrebbe significare colui che indossa la veste candida, simbolo di purezza, mentre oggi nel nostro immaginario il candidato è tutt’altro che puro. Tra l’altro non solo si candida per essere eletto, ma addirittura pretende quell’incarico. E allora più che candidato, forse è un pretendente.
Purtroppo è andata così e ormai è finita. Abbiamo perso un’occasione per restituire a queste due parole il significato originale: i candidati continuano a non essere candidi e gli elettori continuano a non cogliere la realtà. Abbiamo già perso. Qualcuno vincerà, ma noi, il Paese, il nostro futuro, abbiamo già perso.

Ho assistito a una campagna elettorale incentrata sulle tasse, sui tagli, sul debito pubblico, mentre io speravo che qualcuno dicesse qualcosa di umano, speravo che qualcuno parlasse di futuro sostenibile, di ambiente, di energia pulita, che parlasse di crisi di valori prima che di crisi economica. Speravo che qualcuno trovasse il coraggio di dire che la strada per il benessere non è solo sviluppo e produttività, ma innanzitutto dignità dell’uomo e amore per il nostro pianeta. Speravo che qualcuno spostasse l’attenzione dai grandi problemi del mondo, per i quali ognuno di noi non si sente coinvolto in prima persona perché percepisce di non poterci far nulla, a quelli piccoli, sui quali, invece, siamo capaci di misurarci e di conseguenza risolvere. Questo però implica impegno personale, implica partecipazione e l’elettore non ha assolutamente voglia di partecipare.

Speravo, soprattutto, di trovare un candidato degno di tale parola, consapevole del rischio di prendere un voto soltanto, il mio, ma che la sera dello spoglio, sarebbe andato a dormire con la pace nel cuore, per non averci mentito. Invece non è andata così perché quest’uomo non l’ho trovato: ho trovato solo pretendenti.
Pur non avendo trovato nulla di tutto ciò che speravo, andrò comunque a mettere una crocetta sulla scheda. Sarà una crocetta che non esprimerà una fiducia incondizionata e distaccata, ma sarà una promessa di impegno e partecipazione: mi candido a elettore.

Nonostante le vostre deludenti chiacchiere televisive, cari pretendenti, io vi voterò e poi inizierò a sognare, anzi a desiderare perché desiderare vuol dire distogliere lo sguardo dalle stelle: desiderare è il contrario del fissar le stelle, è il contrario dell’immobilismo. Desiderare è fare. Desiderare è partecipazione.

‹‹Quando avevate due e quattro anni, ho avuto un incubo, ma poi mi sono svegliato e ho iniziato a desiderare.›› Questo dirò ai miei figli tra meno di trent’anni.

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