EUROPA – I tagli alle spese operati da Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda per ridurre il debito pubblico e far fronte alla crisi, hanno peggiorato la situazione, soprattutto delle fasce più povere, e aumentato la disoccupazione. Portando con sé rischi di “conflitti sociali, sistemi sociali indeboliti e individui e famiglie sempre più in difficoltà. A chiedere ai governi europei “un’alternativa assolutamente necessaria”, è oggi Caritas Europa, che ha presentato in una conferenza stampa nell’ufficio di Dublino del Parlamento europeo, e in simultanea nei cinque Paesi coinvolti, il rapporto sull'”Impatto della crisi europea” e le misure di austerità imposte nei cinque “Paesi deboli” dell’Unione europea. La fotografia emersa non è per nulla rassicurante: la disoccupazione, soprattutto giovanile, ha raggiunto livelli altissimi ed è diventata di lunga durata; la povertà relativa è aumentata nella maggior parte dei Paesi insieme al costo della vita; sono peggiorate le condizioni occupazionali degli immigrati; la rete familiare, messa a dura prova dalla crisi, sta esaurendo le sue risorse; aumenta la povertà minorile; crescono anche le disuguaglianze tra i Paesi europei. Il Rapporto, di 68 pagine, sarà presentato anche il 21 febbraio, a Bruxelles, nel corso di un seminario di studio presso il Comitato economico e sociale europeo (Cese). Ecco una sintesi.

Prima e dopo la crisi: il debito aumenta. Prima della crisi economica, la situazione di partenza dei cinque Paesi non era uniforme: nel 2007, accanto a Irlanda e Spagna con budget in surplus, Italia e Portogallo si distinguevano per deficit di bilancio negativi, di poco inferiori alla soglia del 3% del Pil imposta dal Patto di Stabilità, mentre la Grecia si caratterizzava per un deficit di bilancio che superava tale soglia. Soltanto un anno dopo, alla fine del 2008, tutti e cinque i Paesi avevano livelli di deficit superiori alla media europea. Tre anni dopo, alla fine del 2011, quattro di questi Paesi avevano raggiunto i più elevati livelli di debito pubblico dell’intera Ue: Grecia (pari al 170,6% del Pil), Italia (120,7%), Portogallo (108,1%) e Irlanda (106,4%). L’unica eccezione è costituita dalla Spagna, che con un valore del 69,3% era ancora sotto il valore medio europeo (82,5%).

Rischio conflitti sociali in aumento. La risposta dei governi a questa situazione, secondo Caritas Europa, sta determinando nei diversi Paesi un “circolo vizioso” i tagli alle spese per ridurre il debito “stanno facendo calare il livello dei consumi e determinano costi sociali elevati”, come il “mancato accesso ai servizi da parte di una porzione significativa di popolazione, colpita da disoccupazione in aumento”. Dal punto di vista sociale, la situazione presenta “un quadro contrassegnato da rischi di conflitti in aumento, da sistemi sociali indeboliti e da individui e famiglie sempre più in difficoltà”. Si rileva soprattutto “un forte calo dell’occupazione, con conseguente aumento della disoccupazione, anche di lunga durata, soprattutto a carico dei più giovani”, “elevati livelli di povertà, anche infantile, e consistenti riduzioni nell’accesso ai servizi essenziali”. Caritas Europa sottolinea che “l’attuazione esclusiva delle misure di austerità, di per sé, non sarà sufficiente a risolvere una crisi economico-finanziaria non imputabile al solo comportamento della società civile”. Le misure produrranno forse “effetto positivi nel breve periodo”, ma “conseguenze negative a lungo termine, soprattutto nel settore del welfare pubblico, della salute”. Nel rapporto vengono elencate una serie di raccomandazioni alle istituzioni europee, dall’attuazione della Strategia 2020, al migliore impiego dei fondi strutturali, fino a politiche contro la disoccupazione giovanile e la povertà minorile.

In Europa 25,7 milioni di disoccupati. Nel settembre 2012 la disoccupazione in Europa aveva raggiunto il livello record di 25,7 milioni di persone (10,2% della forza lavoro). Il trend di crescita prevede 2,1 milioni di nuovi disoccupati nei successivi 12 mesi (Eurostat); vi sono 19,5 milioni di persone tra 15 e 74 anni definite come “sottooccupate” (Commissione europea); la disoccupazione di lunga durata riguarda 10,7 milioni di persone, il doppio del 2008; nel settembre 2012, la disoccupazione giovanile riguardava il 22,8% degli under25, pari a 5,5 milioni di giovani nell’Europa a 27 Stati. Aumentano in tutta Europa i giovani Neet (Not in education, employement and training), che non sono inseriti nel lavoro o nel sistema formativo (Eurostat); il tasso di disoccupazione degli stranieri è pari in media al 22,1%, più di due volte quello registrato presso le popolazioni autoctone (Commissione europea); la crisi non colpisce in modo uguale tutti Paesi Ue: stanno aumentando le disuguaglianze tra gli Stati membri, con un gap di oltre 20 punti tra Austria e Spagna.

In Italia nel 2011, più 54,1% nei Cda. In Italia i centri d’ascolto Caritas hanno registrato nel 2011 una brusca impennata delle persone che vi si sono rivolte, con un aumento del 54,1% rispetto al 2007. Le persone più a rischio povertà ed esclusione sociale sono i 40-50enni espulsi dal mercato del lavoro, i giovani precari, i piccoli imprenditori che devono fronteggiare debiti, bancarotta o fallimenti, gli immigrati ex utenti Caritas, gli anziani che si fanno carico di figli e nipoti disoccupati. Al governo italiano si chiede, tra l’altro, “una misura universalistica di contrasto alla povertà, un “ripensamento del sistema di welfare”, politiche verso minori e giovani, “strategie di inclusione per gli immigrati e le famiglie”, un maggiore impegno verso le “aree più povere e marginali” come il Meridione, i quartieri periferici, le aree montane.

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