ITALIACristian è nato e cresciuto a Roma. È figlio di una mamma colombiana, che lo ha accompagnato in tutti questi anni, e di un padre italiano che alla nascita non lo ha voluto riconoscere. Al compimento della maggiore età, Cristian ha provato ad inoltrare la richiesta di cittadinanza italiana ma, ancor prima di entrare nel merito della questione, la Prefettura lo ha ritenuto inidoneo a prestare il giuramento di fedeltà alla Repubblica. Perché Cristian è affetto da sindrome di Down e, per la legge italiana, non è considerato in grado di intendere e di volere per una non meglio specificata incapacità presunta a priori. Ma Cristian è un ragazzo attivo, che frequenta anche i percorsi di educazione all’autonomia per acquisire le abilità di vita quotidiana nella sede di Roma dell’Associazione italiana persone Down (Aipd). Per comprendere la situazione e definire i contorni della vicenda, Riccardo Benotti per il Sir ha intervistato Mario Berardi, presidente dell’Aipd.

Cosa prevede la legge in casi come questi?
“L’art. 10 della legge 91/92, ‘Acquisizione della cittadinanza italiana’, prevede che il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato. Ciò che è stato messo in discussione, o meglio, dato per certo, da parte della Prefettura di Roma, è che trattandosi nel caso in questione di una persona con sindrome di Down, la stessa non avrebbe potuto prestare valido giuramento, poiché incapace di intendere e di volere”.

Eppure la Convenzione Onu per le persone disabili prevede, all’articolo 18, che le persone disabili “abbiano il diritto di acquisire e cambiare la cittadinanza e non siano private della cittadinanza arbitrariamente o a causa della loro disabilità”…
“L’art. 18 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 13/12/2006, cui è data piena esecuzione in Italia con legge n. 18/2009, dispone che gli Stati aderenti riconoscano alle persone con disabilità il diritto alla cittadinanza, anche assicurando che le stesse abbiano il diritto di acquisire e cambiare la cittadinanza e non ne siano private arbitrariamente o a causa della loro disabilità. Dunque, anche nel caso di gravissimo ritardo mentale, per il quale si può ipotizzare un’effettiva incapacità naturale, e faccio presente che la sindrome di Down comporta un ritardo estremamente variabile da persona a persona, l’impossibilità a prestare il giuramento citato quale causa di inefficacia del decreto di concessione contrasterebbe con quanto previsto dall’art. 18 della Convenzione”.

Avete ricevuto, negli anni, altre segnalazioni di questo genere?
“Proprio ieri abbiamo avuto segnalazione di un altro episodio simile; qualche giorno fa il caso del ragazzo albanese, molto simile a quello di cui ci stiamo occupando come Aipd, ha dato il via all’intervento dei media”.

Quali interventi dovrebbe prevedere il legislatore per trovare una soluzione a questa situazione?
“Dovrebbe dare attuazione alla Convenzione Onu, ratificata ma evidentemente non rispettata, abrogando, ad esempio, l’art. 10 della legge 91/92, che prevede il giuramento di fedeltà alla Repubblica perché il decreto di concessione produca i suoi effetti”.

Sono ancora tante le difficoltà che incontrano le persone con sindrome di Down nella vita sociale di ogni giorno?
“Ricollegandomi a quanto detto precedentemente sull’incapacità naturale, colgo l’occasione per sottolineare che questa è, ahimé, troppo spesso presunta con riguardo alle persone con sindrome di Down, in svariati contesti della vita sociale, anche da chi non è legittimato a ciò: patronati, impiegati degli uffici postali e comunali, che in realtà dovrebbero unicamente assicurarsi che la persona non sia incapacitata legalmente (e cioè interdetta, inabilitata o sottoposta ad amministrazione di sostegno), poiché in tal caso deve essere rappresentata (da un tutore, un curatore o un amministratore di sostegno). Non è invece obbligatorio, né spesso necessario o utile procedere, al compimento della maggiore età, all’adozione di una delle citate forme di protezione giuridica previste dal nostro ordinamento, poiché il codice civile prevede che, in tale occasione, decade la potestà genitoriale e il maggiorenne acquisisce la capacità legale di agire”.

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